Edizione di riferimento
Tutte le opere edite e inedite di Giuseppe Parini raccolte da Guido Mazzoni, Firenze D. Barbèra editore, 1925 - Nel testo è indicata la provenienza di ciascuna poesia
Finor di Babilonia in riva ai fiumi
Lungi da te sedemmo, almo pastore;
Ma tra ’l pianto che a noi scendea dai lumi
Ritornava a Sïon la mente e il core. 4
Le sagre cetre in pria dolci e canore
Pendean tacite intorno ai salci e ai dumi;
Chè, devote al Dio vero, avean orrore
Di risonar davanti ai falsi numi. 8
Ma di redenzïone il tempo in vano
Non attendemmo: a noi già si prepara
La Pasqua desïata appo il Giordano. 11
Rotta è, Israel, tua servitude amara
T’inchina, e stendi la disciolta mano
Al Sommo Sacerdote, al Tempio, all’Ara. 14
Queste incallite man, questo carni arse
D’Affrica al sol, questi piè rosi e stanchi
Di servil ferro, questi ignudi fianchi
Onde sangue e sudor largo si sparse, 4
Toccano alfin la patria terra; apparse
Sovr’essi un raggio di pietade, e franchi
Mostransi ai figli, a le consorti, ai bianchi
Padri ch’oggi lor duol senton calmarse. 8
O dolce Patria! o sante leggi, o sacri
Riti! Noi vi piangemmo a le meschite
Empie d’intorno e al barbari lavacri. 11
Salvate voi questo cadenti vite;
Voi questi spirti estenuati e macri
Col sangue del divino Agno nodrito. 14
Eternatrice Dea, di Giove figlia,
Ch’al gran cantor Tebano,
Mentre coll’arco in mano
Al Cielo ergeva i polverosi Eroi, 4
Somministrasti amica i dardi tuoi,
Deh volgi a me le ciglia,
Acciocch’io canti con sì nobil vena
Questa bella dell’Adria inclita Elèna. 8
Elèna? e chi a costei negar può i versi,
Che fu segno immortale
All’Omerico strale?
Ella per lui, che con mentite penne 12
Sè di cigno coperse, in luce venne
E ben potea vedersi
Agli atti, alle sembianze altere e nuove
Non averla prodotta altri che Giove. 16
Ah che incendio crudele in petto nacque
De’ giovinetti Argivi
Per que’ begli occhi vivi!
Ma te tanta beltà lieto sol féo, 20
O illustre figlio del Tantaleo Atreo
Se non che in grembo all’acque
D’Asia ne venne un pastorel ardito,
Che ’l tuo nume condusse a stranio lito. 24
Allor di Grecia mille navi armate
Con istancabil corso
Premere a Teti il dorso....
Taci, Musa, che di’? forse conviene 28
Che in Europa non più sorgano Elène?
Per noi le laudi alzate
D’altr’Elèna, vogl’io, di quell’antica
E più bella, e più saggia, e più pudica. 32
Non le stridenti subite quadrighe,
Nè i muscolosi ed unti
Atleti stretto aggiunti
Pindaro avría locati oltra le spere, 36
Se costei fosse giunta al suo pensiere.
Ma ben chi la disbrighe
Da’ legami del Tempo Italia or doni,
E per opra di vati in Ciel la poni. 40
Nè sola lei, ma in un con lei lo sposo
Alma vaga d’onore;
Che d’ogni suo maggiore
Con ale ad ogni impresa ardita preste 44
In sè l’opere alberga, e ognor tien deste.
Entro al dolce amoroso
Laccio vivete pur, alme onorate,
Ed Adria lieta e tutt’Ausonia fate. 48
Che ti giova, o Soranzo, onore antico
Di porpore e di spade
Certo non vili o rade,
Or che Imeneo colle tue glorie questa 52
D’ogni gloria maggiore Elena innesta?
Costei, nè falso i’ dico,
Costei, quel fa dell’altre glorie belle
Che ’l Sol fa in Ciel delle minute stelle. 56
O bella Contarini, e a te che giova,
Che de’ tuoi prischi tanti
Vestano sacri ammanti,
E tal di mitra, e tale in capo adorno 60
Dell’Adrïaco porti illustre Corno?
Tanto colla sua nuova
Gloria Soranzo in mezzo a lor s’estolle
Quanto il Padre Apennin sopra ogni colle. 64
Dimmi, Immortal Vinegia, e quando mai
Dacchè i palustri e scuri
Ma onorati tuguri
Pria diêro albergo a’ tuoi famosi duci 68
Vedesti poi due così vaghe luci?
Certo co’ chiari rai,
Poichè Amor le congiunse andranno, or sole
Sin dove nasce e dove muore il Sole. 72
Ma non ha la poetica faretra
Dardo che pronto sia
A far cotanta via.
Ma di’, o Musa, soltanto: e qual verranno 76
Figli da lor? come famosi andranno
Per valor fino all’etra,
E in guerra chiari e in l’onorate paci?
Ma Tu in vista gentil sorridi, e taci. 80
È questo il freddo avel, questa è la Lira? ...
Ah! rivolgendo qui l’umido e basso
Ciglio, quinci a la Lira, e quindi al sasso,
L’orba e dolente Poesia sospira. 4
Udisti, o Morte, il dolce suon, che dira
Tigre molcer poteva, a’ fiumi il passo
Fermar, mover gli scogli; e pure, ahi lasso!
Ahi! tanto avesti il secol nostro in ira? 8
Or che vale, o crudel, ch’uomo s’affidi
Nel poter de’ suoi carmi, e ch’ei sia accolto
Fra i sacri ingegni ed a Minerva fidi? 11
Ecco tu che con torvo ed egual volto
E l’erbe vili e i più bei fior succídi,
Ecco, infino al buon Guenzi oggi n’ hai tolto. 14
E puote or la mia vista incerta ed egra
Nel seno entrar de la futura etate?
Che? Serbellon vegg’io? Chi di sì grate,
Benchè remote pompe il cor m’allegra? 4
Di quant’ òr ti vegg’io dentro a la negra,
Ombra de gli anni alteramente ornato
Le illustri chiome! E quante, oh Dio, prostrato
Manda genti al tuo piè la Terra integra! 8
E a tal gloria ti scorge il raro e solo
Pregio di tue virtù, che ’l secol nostro
Fan sopra gli altri omai gir alto a volo! 11
Dunque del novo tuo sì lucid’ostro
Conti altri pur; ch’io consecrar vo’ solo
A’ tuoi futuri onor carmi ed inchiostro. 14
Tu tratterai con man colui ch’esangue
Già pende sulla croce per salvarne,
Colui medesmo vero, e potrai farne
Come più vuoi, d’amor cotanto ei langue? 4
Tu beverai quel puro e vivo sangue
Che sol poteo, già sparso, in vita trarne,
E tuo cibo farai di quella carne
Che fe’ tal danno al crudo infernal angue? 8
Quel cui gl’interminabili profondi
Spazii non bastan, non che i monti e i piani,
Fia che tu nel tuo sen copra e circondi, 11
Baion, sì spesso in modi alti e sovrani?
Oh Dio! com’esser denno intatti e mondi
Quel seno, quelle labbra e quelle mani! 14
Com’ombra il Sol ch’oltre al meriggio varca,
Segue i tuoi passi la mia Musa, o dolce
Signor, onde mia speme omai si folce
Degl’infortunii miei timida e carca. 4
Già dove il Lambro con sua chiara e parca
Onda le rive mormorando addolce;
Or qui t’ammira ove il bell’Adda molce
I cor con l’acque che dall’urna scarca. 8
Ma ovunque il piè instancabile ti regge,
Di cotanta virtù l’orme tue stampi
Ch’al desio di lodarti in me son legge; 11
E m’abbaglian, ahi troppo!, i chiari lampi
De la fiamma, onde tu per lo tuo gregge,
Sollecito pastore, ognor più avvampi. 14
Certo non tu, Signor, perder lasciasti
La vedova, che lassa a’ piedi tuoi
Chiedea mercede, e i crudi affanni suoi
Piagneva, e ’l nudo fianco e i duri pasti: 4
Ma a lei la man porgendo, in piè l’alzasti;
E, Donna, serenar le luci or puoi,
Dicesti, e ratto, qual solean gli eroi,
Del vindice dei buon ferro l’armasti. 8
Risero i Genii, che degli umil tetti
Son guardia, e in dubio ancor dell’aurea etade
La Calunnia fuggì, che mille cangia
Per sommo danno altrui forme ed aspetti;
E ’l Tradimento, e la falsa Pietade
Che, simulando amor, l’altrui pan mangia. 14
Vanne, o vergin felice, entro al romito
Albergo: ivi Umiltade al fianco tieni,
Che la rara Concordia unita menii,
E ’l bel Silenzio, che sul labbro ha ’l dito 4
Vedrai ne’ limitar sedersi ardito
Amor, superbo dei feriti seni,
E Invidia tinta d’orridi veleni,
E quel di risse eccitator Garrito. 8
Tu volgi ’l guardo in lor nubilo e parco,
Qual vincitor che su i vinti rubelli
Torvo se ’n passa, e di lor spoglie carco;
Ma guàrdati da Amor: co’ suoi quadrelli
Aspetteratti insidïoso al varco
Fra gli oziosi e striduli cancelli. 14
Mancavan forse a te, vergin prudente,
E libertà, cui gioventude apprezza,
E larga e lusinghevole ricchezza
Ov’ha suo cor la pazza mortal gente ? 4
Chi ’l fervido desio t’accese in mento
Ch’al Ciel sospira e i volgar lacci spezza?
Sol tu d’insuperabile alterezza
Armata, in sen le basse voglie hai spente. 8
Vedesti ben che qui siede monarca
Il gran Nimico del genere umano
Sopra la turba che dell’oro è carca 11
E sprezzatrice del fango mondano,
Pura colomba te ’n volasti all’Arca
Cui l’avido Dragon combatte in vano. 14
Or tu, Giulio, vedrai tra i marin flutti
Novello abitator, seder Vinegia,
Maraviglia dell’onde; a cui Nettuno
Prestò l’altero dorso, e disse:
Questa mi sia in voce di Troia, a cui le forti 5
Mura, che ‘l grande Ettor di sangue sparso,
Meco Apollo donò: questa d’Atene
Cui contese il mio nome il sacro ulivo
Di Pallade guerriera. I pregi adegui
D’ambedue le città famose tanto: 10
L’aspra sorte non già, che le gran torri,
Che ingombravan le nubi, a terra stese.
Vedrai l’altere moli al Divo sacre
Intorno al qual cheto Leon s’aggira
Custode de la pace, e all’ire pronto, 15
S’altri ‘l tenta ingiurioso. I gravi Padri
Vedrai nel gran Senato, onde Giustizia
Stringe le chiavi; ove Prudenza in alto
Speculatrice ad osservar si sta.
Che, se vaghezza di mirar ti prende 20
Le fervid’opre, che ‘l cammin dell’onde
Aprono altrui, e moto dànno al sangue
Onde vivono i regni, al buon Commercio,
Che de la Copia è amico, i rozzi abeti
Vedrai perder la scorza, e varia forma 25
Prender navale, e di sicuro armarsi
Bitume intorno. Udrai gemer la prima
Volta le antenne; e le candide vele
Non peranco da salso umor bagnate,
Vergini aprir la prima volta il seno 30
Ai zefiri del lito. Nè l’ardente
Desio d’antichità fia che inquïeti
Lo tuo cor pago: i marmi, i simulacri
Dedicati al valor ne’ fôri augusti
Ti sien pascol giocando: i freddi sassi 35
Imprimerai di baci ove stan chiuse
Le ceneri de’ gran Cigni dell’Adria,
I cui be’ nomi nel profondo limo
Il fiume alto del Tempo non assorbe,
Ma galleggianti in sul dorso li porta 40
Nell’ocean d’Eternità là dove
Va rapido torrente a metter foce.
Ma, se mi lice or teco il core aperto
Mostrar com’io facea, non lo t’invidio
(E sia pur qual tu vuoi grande il piacere) 45
Cotesto maraviglia. In cor soltanto
Alto fise mi stan le due bell’alme
Che del sangue Ottobono e del Zuliano
Or fan solo una coppia: amabil coppia
Onde vano è lodar gli aviti pregi, 50
Però che tutti in sè gli accoglie, e tutti
Può tramandarli nell’amata prole.
E ben beato è chi degli avi illustri
Mira le immagin pinte; e in lor, siccome
In speglio veritier, trova se stesso. 55
Però invidia a te porto, a te ch’or vedi
Gli affetti di que’ due spirti leggiadri
Interprete fra lor. Tu de’ segreti
Moti dell’alme scrutator sagace,
Lor voglie intendi a cui Ragion è guida 60
E scorger puoi entro a’ lor cori amanti
Bollire i semi di virtude altera.
Ma tu ben sai che l’onda d’Aganippe
In noi desta furor, che poi ne porta
Imaginando per estran paesi, 65
A coronar gli eroi di bella lode.
Vedimi or dunque entro alle stanze aurate,
Che delle allegre nuzïali pompe
Ridono intorno. Io da me stesso i lieti
Sposi conoscerò: vedrò la bella 70
Starvi pensosa, e pallidetta in viso,
Qual nuova sposa suol cui vivo foco
Arde al di dentro; e al sen le si ristringe
Verginità tremante e sbigottita.
Il giovin che di grandi avoli è stirpe 75
Siedele accanto; un tremulo baleno
D’amorose scintille intorno ferve
A le cupide luci, ond’egli bee
Dal bel volto di lei tosco soave,
Ch’al cor gli scende. E qual cosa si cela 80
A’ poetici lumi? Il vulgo insano
Stima favola e sogno allor che n’odo
Cantar: io veggo, io veggo; e folle ignora
La gran possa di Febo, il qual ne dona
Raggi, che penetrando al tempo in seno 85
Mille scoprono a noi riposte cose
Ch’altri non saprà mai. Ecco la Fede,
Che candido il bel viso, e ‘l nobil velo
Candido anch’esso, a la beata coppia
Impon suo giogo: Amor lieto il sostenta 90
Con benefica man, sì che non gravi
Troppo l’un sposo e l’altro; e su vi sparge.
Temprati da Ragion, Venere i cari
Piacer dell’aurea cinto, onde la calda
Gioventute è pur vaga: ed infinita 95
Serie nasce dappoi d’uomini. O sposi
(Questi dal labbro, onde Semplicitate
Ministra le parole, amichi detti
Scioglie la Fede), o sposi, or non v’incresca
Sentire il peso de’ miei lacci: e i santi 100
Non isfuggite nuzïali affetti.
Già nel terrestre paradiso i primi
Padri non ne fûr schivi: il Nume istesso
Alzò sua voce; e lor mostrò siccome
Colle amabili nozze di due spirti 105
Fassi uno spirto; e di due cori un core.
Allor prima quaggiuso Amor comparve,
Ch’eterno è in cielo; allora i’ nacqui; e Imene
Scosse la prima face. Oh qual destossi
Nel seno al Padre de’ viventi allora 110
Inquïeto fervor, che lui sospinse
A stringer primo la consorte al petto.
Nè la viragin bella avaramente
La man ritenne egual forza traea
Lei pure al dolce incanto: e oh voi meschini 115
Se colei contrastava! Al secol nostro
La bella gloria d’ambedue le stirpi
Non discendea giammai per generoso
Sangue sparso e magnanimo: nè alcuna
Posterità sarìa, che in voi secura- 120
Mente fidasse la sua verde speme.
Ma a noi, Giulio, non lice ancor più a lungo
Il piè fermar tra le festose soglie
Ove alberga il Piacer. Vedi che intorno
Liev’ombre impazïenti e disdegnose 125
S’aggirano a gli sposi: e in lor favella
Li priegan pur, che non ritardin tanto
A lor di figli il nome, e a sè di padri.
Vedi come stan pronte? Avvi chi scote
Le bellic’aste; e su i dipinti scudi 130
Porta future imprese: altri si veste
Purpurei manti, e d’oro, onde la santa
Religïon s’adorna; e tutte in viso
Portano i lor grand’avi. L’aere denso
Che lor si volve intorno è che ne manda 135
Co’ ripercossi raggi i be’ colori
I qual con varie forme ingannan l’occhio,
E mostran l’avvenir. Qual sul mattino
L’esercito dell’api intento vola,
De’ fior a côr la rugiadosa manna 140
Onde si pasce; e ciascun’ape a gara
S’avventa al primo fiore, e lo succhiella
Col pungiglion dorato; indi ne attrae
Per lo sottil cannello il vital sugo;
Così la turba degli spirti attende 145
Soli i due sposi; e, ciascun spirto è pronto,
Quando Amor sciolga la feconda piena,
A balzar primo, e ricercar sua vita
Nel bel materno grembo. Or ti rimani,
Giulio, fra i dolci eventi, e crescer mira 150
La cara speme de’ futuri tempi
Nel sen fecondo. E se sostener puoi
L’immenso lume de la lor grandezza
Spècchiati negli sposi; e l’alma Pace
Vedi con Amor giunta intorno a loro 155
Scherzar vezzosamente, e cacciar lunge
Dal casto letto Gelosia crudele
Che fugge avvolta in panni orridi e bruni
E in van tentando le affannose lime
Ch’aman di straziar gli accesi petti. 160
Io la veloce fantasia richiamo
All’insubre terreno, e m’apparecchio
Ad invocar Lucina; e in più bei carmi
Celebrar frutti del grand’arbor degni.
Nè l’alta Pianta ancor, che dal buon ceppo 165
Ottobon venne a fortunar cotanto
Il terren dov’io nacqui, inutil fia
Unqu’anco a’ versi miei, però che l’ombra
Proteggerammi di sua nobil fronda,
Che, mie glorie formando, intorno al crine 170
Serpeggerammi dell’alloro in vece.
Giulio, dell’immortal Vittoria io parlo,
Che in debol sesso i maschi avoli imita,
O vuoi tu per consiglio, o per iscritti. 174
O nell’uopo maggior di nostra etade
Le veci eletto a sostener di Cristo,
Ecco Religïon che al piè ti cade,
Lacera il manto e ’l ciglio umido e tristo. 4
Ah contro lei, qual valorose spade
Di saggi ingannator vibrarsi ho visto!
Quanti suoi figli per obblique strade
Rapiti fûr, di Stige indegno acquisto! 8
Tu l’affida e sostieni: al destro fianco
Manna ti piova salutar che un giorno
Ristori de’ suoi figli il drappel stanco; 11
E ’l Ciel tonando orribilmente intorno,
La folgore ti strida al lato manco,
Pronta su gli empii a recar danno e scorno.
O Santa Fede, al mondo oggi sì rara,
Scendi dal Ciel col tuo giogo soave
Che a questa coppia sì leggiadra e cara
Benignissimamente il collo aggrave. 4
Tienne lunge colei che i cor separa
Furtiva entrando con sua fredda chiave,
E la nata di lei Discordia amara
Che mesce al dir suo velenose bave. 8
Amor sia teco, non quel vile ond’erra
Spesso dolente il gregge, e spesso audace
Fa per l’amico piano infra sè guerra; 11
Ma quel che di due spirti un sol ne face,
Onde un saggio si puote aver qui in terra
Del bel paese de l’eterna pace. 14
Signora Rosa mia saggia e dabbene,
Lo scriver versi per chi si marita
È una cosa che a molti non conviene. 3
Voi mi domanderete perchè uscita
Fuor di bocca mi sia questa sentenza
Ed eccovi di ciò bella e chiarita. 6
Prima, perchè talun scrive giù senza
Guardar che non mai ebbe a’ giorni suoi
Punto de la poetica semenza; 9
Onde certi versacci nascon poi
Che per l’amor di Dio benedetto
Non v’è cosa che al mondo più ti annoi. 12
Molti san fare ancor qualche sonetto,
Ma per far qualche cosa tuttavia
Non hanno a la modestia alcun rispetto. 15
Ti conducono all’uscio a far la spia;
Fànti veder Coniugio che vien drento
E la Verginità che scappa via. 18
Cascan ne le sozzure in sino al mento
E fànti comparire una sporchezza
Quel così alto e nobil sacramento. 21
Chi fa coraggio a la sposa, chi spezza
La zona virginal, chi in versi strani
Chiama Imene e la dea de la bellezza. 24
Ho visto epitalamii sì villani
Che starien meglio, il ciel me lo perdoni,
Ne le nozze che fan tra loro i cani. 27
E non si potrebb’ei d’altre cagioni
Trarre argomenti e non dar punto retta
A questi pensieracci gaglioffoni? 30
Non si potrebbe andar per via più retta,
E a sè stesso e a gli sposi far onore,
Lasciando quel che a’ bruti soli aspetta? 33
Io non gustai del maritale amore,
Però che giovinetto a la sua rete
San Pier m’ha còlto papa e pescatore. 36
Ma non di men, quantunque io mi sia prete,
Vi porre’ dir mill’altre belle cose,
Senza toccar quelle che voi sapete. 39
Di buoni avvertimenti una gran dose
E di preservativi un po’ morali
Io dare’ in vece a gli sposi e a le spose 42
Direi: Non fate come gli animali
Che a pena terminato di trescare
Sono ancora nemici capitali. 45
Voi vi dovete, o sposi, sempre amare,
Non già voltarvi in capo a pochi mesi
L’una al servente e l’altro a la comare. 48
Voi dovete pensar che siete presi
A un laccio cui non può scior se non morte,
Non già le male usanze de’ paesi. 51
Direi: O sposo, la vostra consorte
È una compagna datavi da Dio,
Che che le passïon dicano storte. 54
Frenate dunque il mobile desio
E fuor del vostro nido non scappate,
Se non volete aver quel che dich’io. 57
Le vostre mogli trovansi gelate
Le fredde notti dell’umido verno
Fannivi il muso, e voi vi lamentate? 60
E voi, o sposa, abbiate buon governo
De le cose domestiche e de’ figli;
Però ch’e’ son la ruota e voi il perno. 63
Non ascoltate i malvagi consigli
Dell’interesse amico al vostro sesso,
Se non volete che al boccon vi pigli. 66
Non v’abusate, come s’usa adesso
Da’ sposi sdolcinati che d’umana
Leggerezza dan nome ad ogni eccesso. 69
Me, ’l dir tai cose a voi è opra vana,
Signora Rosa mia, la quale il ceto
Lasciate in dietro de la plebe insana. 72
E il vostro gentil sposo vi tien dreto
Per quella via che voi segnate avanti,
Sol de la virtù vostra altero e lieto. 75
Ei non curò già quel che gl’ignoranti
Curan ne le lor mogli solamente,
Vale a dir la bellezza ed i contanti 78
A questo cose non guardò nïente,
Ben che n’aveste a dargliene in buon dato,
Ma solo al bello de la vostra mente. 81
Sol per questo ei cercò d’avervi a lato
E così dovria far chiunque ha senno,
Perchè sia ’l matrimonio allegro e grato. 84
E quel medesmo che di lui accenno,
Io lo dico di voi, sposa gentile,
A cui le passïon forza non fenno. 87
Voi come l’altro non foste sì vile
Che a pena fuori uscite de’ pupilli
Vaghe sono del genere maschile; 90
Ond’entran loro in capo certi grilli
Di volere a ogni costo un bel marito
Pria che la lor beltà caschi o vacilli. 93
Voi non aveste di beltà prurito,
Ma sol congiunta a la virtù vi piacque,
Come sopra a un bel corpo un bel vestito. 96
Però è dover che sopra voi, com’acque,
Le benedizïon piovan dal Cielo,
Sposi in che Amor cotanto si compiacque. 99
A me non lice penetrar nel velo
Dell’avvenir, com’altri pari miei
Che hanno in corpo Elicona e Pindo e Delo. 102
Del resto anch’io cinque figliuoli o sei
Prometteríevi alzando in aria i vanni,
E spiegherei lor toghe, arme e trofei. 105
Dire’ che a gl’Indi e a gli ultimi Britanni
Andrà lor nome, e che a sì tristo guaio
Fia che l’ Odrisia Luna il volto appanni. 108
Io non ve ne prometto pure un paio
Che voi ne abbiate a avere è facil cosa
Io per me ve ne priego un centinaio, 111
Pur che agguaglino il padre e la sua sposa
E sien di buona pianta buone frutte;
Che quest’ è, come ho letto in versi e in prosa,
La benedizïon miglior di tutte. 115
Chi non sa come dietro a un bel concento
Un’anima rapita in cielo ascende,
Venga ad udir costei, la qual contende
Ogni armonico pregio al firmamento. 4
Fermo sull’ale sta librato il vento
Qualor ella col canto i petti accende,
E ognun maravigliando da lei pende,
De le angeliche voci al suono intento. 8
L’alta dolcezza in sulle labbra accolta
Amor la sugge quattro volte o sei,
Poichè la lingua in dolci note ha sciolta. 11
Calata giù dal regno degli Dei
Cosa infin sembra, e qualunq’uom l’ascolta
Dice: Beato chi può udir costei [3]! 14
Terrestre angiolo mio, che dal bel labro
Canti sciogliete ognor dolci e soavi
Tanto da pôr tra l’amorose chiavi
Qualunq’uomo abbia ’l cor più alpestro e scabro 4
Qual fu, qual fu, la man sì dotta o ’l fabro
Che i bel varchi v’aprì, sì ad arte cavi,
Ond’han vita gli accenti; or alti, or gravi,
Tra le candide perle e ’l bel cinabro? 8
Fu il Ciel pietoso che dei miser’anni
Pieni d’ira e furor, nel canto vostro
Volle farci obblïar l’onte e gli affanni 11
Tal giunto a Stige Orfeo, tacque ogni mostro;
E l’augel, che di Tizio intende ai danni,
Torse nell’ale il sanguinoso rostro. 14
Allor che il cavo albergo è in sè ristretto,
Onde in un tempo ha l’uom vita e parola,
L’aere soavemente esce del petto,
E al doppio carcer suo ratto s’invola. 4
Per la tornita poi morbida gola
Passa al liscio palato; e, vario aspetto
Preso fra i denti e ’l labbro, alfin se ’n vola
Dolce a recare altrui gioia e diletto. 8
Ma pria costei con la mirabil arte
E l’armonico genio il guida e frena
Sotto a le leggi de le industri carte 11
E quindi avvien che da la flebil scena
Fa altrui beato; e tal piacer, comparte
Che seco avvinti i cor tragge in catena. 14
Quando costei su la volubil scena
Di celeste bellezza apre i portenti,
E il notturno spettacolo serena
Co’ raggi del bel volto, Amor, che tenti? - 4
Entro per gli occhi a quel prodigio intenti,
Scende ne’ cori, e là calmo ogni pena;
Desto teneri sensi; empio a le genti
Di foco soavissimo ogni vena. 8
E quando, simulando i prischi lai,
Da i due coralli de la bella bocca
Scioglie il canto amoroso, Amor, che fai? - 11
Volo al bel labbro onde il piacer trabocca,
E grido: Oh in terra fortunato assai
Chi sì bel labbro ascolta o vede o tocca!
Poichè il maggiore or sei Servo de’ Servi,
Quanto magnanime opre, o gran Clemente [4]
Vedremo uscir dall’inspirata mente
E dalla caritate onde in sen fervi. 4
Oh come sia che tu cresca e conservi
Tuo sparso ovile! Oh come rotte e spente
Cadran le insidie del crudel Serpente
Sì che Religïon più non si snervi! 8
Zelo divin reggerà cauto il corso
Del legno altero a cui fu Pier piloto,
Ch’unqua del mar non fia ludibrio e scherzo 11
Però che gli offriran forte soccorso
E Cielo e Terra; e chiaro al più remoto
Dì fia Clemente sopra diece il terzo. 14
La forte madre, che mirò il suo figlio
Primo seder quaggiù d’ogni mortale,
Più non sperando aver letizia eguale,
Sciolse lo spirto, e chiuse in pace il ciglio. 4
E poi che a lei non lice in questo esiglio
Guidar colui che sopra ogn’altro sale,
Disse: Qui fémmo assai; or che più vale?
In cielo audiamgli ad impetrar consiglio. 8
Ma di là visto il gran figliuol che il manto
Di Pietro onora, e di sè il mondo bea,
E tutte le Virtù ridergli accanto; 11
Per lo novo piacer che in lei si crea
Maravigliando grida: Io veggio or quanto
Crescer mia gioia in Terra ancor potea. 14
Bambin, cresci; e t’assomiglia
A la madre e al genitore,
Che sul labbro e sulle ciglia
Han le Grazie ed hanno Amore. 4
Co’ grand’avi ti consiglia,
E le vie batti d’onore;
E a la dotta umil famiglia
sia sostegno il tuo favore. 8
Pensa un dì, che al tuo natale
Il Febèo coro cantò
Pronto a renderti immortale. 11
Ch’io, allor già spento, a’ bei
Prati Elisi narrerò
I compiuti augurii miei. 14
Oh crudi affetti, che dintorno al core
Sempre mi siete, e fate orrido scempio,
La voce udite, che minaccia l’empio,
E lo richiama dal suo lungo errore. 4
E se ragion non val, vaglia il terrore,
Vaglia il fervido zel, vaglia l’esempio
Di quel ch’ora, tonando in mezzo al tempio,
Guerra vi muove intrepid’oratore. 8
Ahimè! quando fia mai, che l’alma accesa
D’amor celeste alfin cangi sue tempre
E cerchi incontro a voi schermo e difesa? 11
Quando fia che il cuor duro alfin si stempre
In pianto, e l’alzi a più lodata impresa?
S’oggi no ’l fa, pianger dovrà per sempre. 14
Ambizïosa voglia,
Presunzione insana,
A la prudenza umana
Le cieche ali discioglia;
E dietro agli onor frali
Anelino i mortali. 6
Ma tu che del Signore
Unto sarai chiamato,
E sul gregge a te dato
Vigilerai Pastore,
Pensi all’enormi travi
Di che il dorso ti gravi. 12
E se non desïoso,
A te medesmo vile,
Accanto dell’ovile,
Presso al merto nascoso,
Per umiltà restío,
Trovi ’l Messo di Dio. 18
Tale Mosè fu assunto
A guidare Israele
Tale da Samuale
Tu fosti, o David, unto
Tale or sale Muggiasca
La Cattedra Comasca. 24
Che pietoso spettacolo a vedersi
La virtuosa figlia in nero manto
Sopra l’urna del padre amato tanto
Spargendola di lagrime e di versi 4
E co i teneri sguardi a lei conversi
La Carità dettarle il dolce canto;
E de la pia compagna a sè dar vanto
Le Muse, e più beato oggi tenersi! 8
T’allegra, o Poesia, chè la tua lira
Da i giochi de la mente alfin ritorna
Del coro a i moti, e la virtude inspira: 11
E di lauro e cipresso il monumento
Grata circonda, e ‘l cener freddo adorna,
Che desta un così nobile lamento. 14
Nave che sciogli così ardita e franca
In questa che ti par sì facil onda,
Pensa che il mar, che sotto a te s’imbianca,
Delle suo sirti e de’ suoi scogli abonda. 4
Pensa che all’acqua tacita e profonda
Il vento impetuoso ancor non manca;
Che, quanto è stretto più tra sponda e sponda,
Più violento il pin flagella e stanca. 8
Dunque non creder tanto alla tua forza
Nè alle lusinghe del tranquillo piano,
Ma guàrdati mai sempre a poggia e ad orza. 11
Sta nel tuo sen quella possente mano
Che ti move, ti guida e ti rinforza:
Quella obedisci; e ogni timor fia vano. 14
Pien di contrasto e di pena e di stento
È il calle ove tu vai, Vergine ardita:
L’entrata è aperta, e n’è chiusa l’uscita
E tardi vien, se viene, il pentimento. 4
Dolce speranza e salutar spavento
Tengono in dubio l’anima smarrita
Tal quindi vola alla beata vita;
E tal ne scende all’eterno tormento. 8
Pensaci, e non sperar ch’altri che Dio
Ascolti per la strada il tuo ricorso,
E sostenga l’intrepido desio. 11
Sempre domanda a Lui, sempre soccorso.
Quante precipitâr giù dal pendio
Ch’eran vicine a terminare il corso! 14
No, non si pianga un uom d’ingegno eletto
Che, per costumi e nobil’arti chiaro,
Visse alle dame e al cavalier sì caro
In ciel rimoto e sotto al patrio tetto; 4
Un uom cui la pietà, l’amor del retto,
La carità, mille altre doti ornáro,
E visse ne la patria esempio raro
Di sposo e padre e cittadin perfetto 8
Un uom che, pieno alfin di merti e d’anni,
Placidamente a più beata sede
Passò, fuggendo dai terreni affanni. 11
Un uom che, mentre al comun fato cede,
Lasciò, per compensare i nostri danni,
Di sua virtù tanta famiglia erede. 14
Chiese l’empia donzella; e già scorrea
Del Giusto il sangue; e d’ira e di pietate
La Terra fra le viscere fremea
E rimembrava ancor l’antico Frate. 4
Misera Terra! ahi l’esecranda etate
Qual nel suo seno ordiva opra più rea
Ahi di qual sangue fra le genti ingrato
Cotesto sangue annunziator scendea! 8
Là pe ’l deserto u’ già sudía la voce,
Alto ululavan gli Angioli che fûro
Presenti all’acque onde fu sparso il Verbo. 11
Nè piagnean l’empia Donna e il Re superbo;
Ma te, Giudea, vicina al fatto atroce
Per cui tremâro i poli, e il sol fu oscuro. 14
Vanne, o Morte crudel, vanne pur lieta
Di questo pianto che mi bagna il volto
Ahi! tre cose rarissime m’ hai tolto,
L’uom buono, il buon amico, e il buon poeta.
Virtù donasti al sol, che i sei pianeti [8]
A sè tragge, o gran Dio: poi di tua mano
Lor, desti un moto per l’immenso vano,
che a gir gli sforzi, e unirsi a LUI lor vieti. 4
Ond’è che intorno al sole irrequïeti
Rotan mai sempre: andran da lui lontano
Se il vigor che gli attragge un dì fia vano,
E in lui cadran se il lor moto s’accheti. 8
O eterno Sol, che padre a l’altro sei,
Tua grazia i’ sento, onde vêr te mi volga.
E ’l fomite che va contrario a lei. 11
Deh fa’ che, quando il gran nodo si sciolga,
Io non fugga in eterno in un co i rei,
Ma ch’entro la tua luce alto m’avvolga! 14
Questa, che or vedi, Elpin, crinita stella [9]
Splender repente nel sereno cielo,
Questa vid’io garzon, cui il primo pelo
Velava il mento ne l’età più bella. 4
Oh come, i’ vidi allor la miserella
Pastoral turba rimaner di gelo,
De l’astro irato paventando il telo
E lo sdegno, onde gli empi il ciel flagella 8
Ma i due saggi gridâr Iella e Nisisca
Felici, o figli, che il bel lume avrete
Quando di nuovo il suo cammin compisca! 11
L’odio, il mentir, l’avidità temete,
E ’l folle amor, che gli uman petti invisca,
E impavidi il novello astro vedrete.
Impavidi il novello astro vedrete
Tornar su l’orizzonte, o giovinetti,
Che dall’ultime sue lontane mete
Fia che al ciel vostro il bel cammino affretti. 4
Come guidar per calli or torti or retti
Suole il saggio nocchiere il curvo abete;
Tale il Sommo Motore avvien che detti
Legge a le in vano orribili comete. 8
Or presso al Sol tra i vïolenti ardori
Le accoglie, or guida in mezzo al verno algente
A provare i non noti a noi rigori. 11
Ma la colpa odïar l’astro innocente
Fece, quasi feral segno, a i pastori;
La colpa, d’ogni mal segno e sorgente. 14
Face orribil, se è ver che in Ciel ti accendi
Ministra all’uom d’atri infortunii e duri,
Tu se’ che il padre mio or mi contendi
E l’altra unica speme, empia! mi furi. 4
Ah tu, che i giorni miei candidi e puri
Vedi mutati in tristi, o cor, m’intendi:
Chè i neri spettri vedi e i tristi augùri
Fra i nati dal mio duol pensieri orrendi.
Pèra chi ’l crudel astro unqua ha predetto,
Pèra chi l’aspettò; chè al suo venire
Sentii per doppia via squarciarmi il petto.
Ma, folle!, perchè al Ciel rivolger l’ire,
S’io stesso, io, dono ognor più truce aspetto
Al cupo imaginare, al mio martire?
Per le nozze dell’Arciduca Ferdinando D’Austria
e Maria Riciarda Beatrice d’Este (1771)
Vada in bando ogni tormento;
Ecco riede il secol d’oro:
A scherzar tornan fra loro
Innocenza e Libertà. 4
Sol fra noi regni il contento
Coroniamo il crin di rose
Su si colgan rugiadose
Da la man dell’Onestà. 8
La virtù non move guerra
A i diletti onesti e belli:
Colà in ciel nacquer gemelli
Il Piacere e la Virtù. 12
E gli dèi portâro in terra
Un tesor così giocondo
E così beâr del mondo
La primiera gioventù. 16
Folle stirpe de’ mortali,
Che sè stessa ognor delude,
Il Piacer da la Virtude
Insolente dipartì : 20
E così di tutti i mali
Si destò l’atra procella
E la coppia, amica e bella
Solo in ciel si riunì. 24
Ma tornâro i dì felici.
Or veggiam congiunti ancora
Con un nodo che innamora
La Virtude ed il Piacer. 28
Siete voi due Numi amici,
Che il bel dono a noi rendete
Siete voi che l’uomo ergete
Allo stato suo primier. 32
Ah perchè velar l’aspetto
Sotto strane e varie forme?
Al fulgor de le vostr’orme
Si conosce il divin piè. 36
La Virtude ed il Diletto,
Ferdinando e Beatrice,
Un accordo sì felice
Mai nel mondo non si diè. 40
Sol fra noi regni il contento;
Coroniamo il crin di rose
Su si colgan rugiadose
Da la man dell’Onestà. 44
Vada in bando ogni tormento
Ecco riede il secol d’oro;
A scherzar tornan fra loro
Innocenza e Libertà. 48
Quand’io sto innanzi a que’ due lumi bei,
Vorrei mille segreti e mille aprire;
Ma s’affollan cotanto i pensier miei,
Che, per troppo, voler, nulla so dire. 4
Dice Amor: Pusillanimo che sei,
Non sai che nel mio regno è d’uopo ardire?
I’ gli rispondo: Amore, i’ parlerei,
Ma chi può a gran desir gran detti unire? 8
Sorride alquanto, entro al mio petto, Amore
Indi, mosso a pietà, ne gli occhi ascondo
Pur con la face e pur co i dardi sui : 11
E, quasi d’alto pergamo oratore,
Quindi parla per me, prega, riprende
I’ mi sto queto, e lascio fare a lui. 14
Ecco del mondo e meraviglia e gioco
Farmi grande in un punto e lieve io sento;
E col fumo nel grembo e al piede il foco
Salgo per l’aria e mi confido al vento: 4
E mentre aprir novo cammino io tento
All’uom, cui l’onda e cui la terra è poco,
Fra i ciechi moti e l’ancor dubbio evento,
Alto gridando, la Natura invoco: 8
O madre delle cose! Arbitrio prenda
L’uomo per me di quest’aereo regno,
Se ciò fia mai che più beato il renda 11
Ma, se nocer poi dee, l’audace ingegno
Perda l’opra e i consigli; e fa’ ch’io splenda
D’una stolta impotenza eterno segno. 14
Dove, o pura colomba, affretti il volo
Sopra la terra desolata? Vedi
Qual diluvio qua giù sceso dal polo
Ogni piazza, ogni monte occupi e predi. 4
Atro fango, e rovina, e squallor solo
Tutti assorbe i refugi. Ahi! dove credi
Sol d’ogni parte maculato suolo
Omai salva posar tuoi casti piedi? 8
Ecco l’Arca, ecco l’Arca. Ella il rapace
Flutto non teme o la procella oscura;
E il segno intorno a sè spiega di pace. 11
Volgi al grembo di lei, volgi secura
L’ali, o pura Colomba. Ivi al Ciel piace
A più lieta serbarti alta ventura. 14
Stolta è costei che in solitarie mura
Affrettasi a seguir la steril croce,
E di patria e d’amor sorda a la voce
Simili a sè di propagar non cura! 4
Tal odo bestemmiar la setta impura
Cui l’appetito a lo intelletto nuoce,
E lungi da le nozze erra feroce,
La virtù deturpando e la natura. 8
Vergin chiamata a la più nobil sorte,
Sdegna il parlar de gli empii, e in atto pio
Chiudi al cospetto lor le sacre porte. 11
Quei co’ detti e con l’opre a Satan rio
Servan costretti, e tu libera e forte
Dona te stessa ostia innocente a Dio. 14
Ben ti conosco al venerando aspetto,
Ai tratti egregi onde sorprendi e bei,
Augusta Madre mia, che fosti e sei
Somma del mio pensier gloria e diletto. 4
Ma dove i baci, ove il soave al petto
Stringermi e il suon dell’alma voce e i bei
Detti e i consigli, che guidâro i miei
Primi sensi e desiri al vero e al retto? 8
Ove il continuo folgorar potente
De’ grandi esempi, che rendean sì presto
L’animo a gir sull’orma tua lucente? 11
Ah, vaneggiai! Subitamente desto
Dall’Arte, il cor fe’ lusingar la mente.
Madre, sei lungi: o un falso marmo è questo. 14
Questa, che le mie forme eterne rendo,
E a cui con grato error volgi le ciglia,
Opra gentil, fia pegno eterno, o Figlia,
Dell’amor che per te saldo m’accende. 4
E se il tuo cor che sì felice apprendo
Non più la voce mia regge o consiglia,
Non ti doler; poi che ardimento ei piglia
Dal tuo senno maturo, e in alto ascende. 8
Chè se al colmo di gloria andar tu vuoi,
Lungi da me che breve corso adempio
Avrai nobil cimento ai voli tuoi; 11
Tale il Ciel ti donò splendido esempio
In questa ove tu sei Reggia d’Eroi
D’ogni eccelsa virtù asilo e tempio. 14
Ardono, il credi, al tuo divino aspetto,
Alma sposa di Giove, anco i mortali:
Tal da le bianche braccia e dal bel petto
E da i grandi occhi tuoi partono strali. 4
E ben farsi oseríen ai numi eguali
Fuor dimostrando il lor celato affetto,
Se al fervido destro il volo e l’ali
Non troncasser la tema ed il rispetto. 8
Issïon, che nel cor la violenta
Fiamma non seppe contenere, or giace
Sopra la rota, e i voti altrui spaventa: 11
Ma, se il caso di lui frena ogni audace,
Non è però che i pregi tuoi non senta
Più d’un’alma gentil, che adora e tace. 14
Non a voi, sorde mura, esposte al danno
E del tempo e de’ casi, ov’io già il piede
Libera posi, or dopo vòlto un anno
I giuramenti miei sacro e la fede; 4
A Dio ben sì, che mai non pate inganno,
Che nel profondo cor penetra e vede,
E ovunque sieno in vario albergo e in panno
Le già devote a lui anime chiede. 8
Così la Vergin saggia. E dal bel velo
Le luci alzando a la sacr’ara fisse,
Tutta nel volto fiammeggiò di zelo. 11
E allor l’Eterno in adamante scrisse
Il nobil detto che sembrò nel cielo
Novo d’astri fulgore a i guardi aprisse. 14
Quanti celibi e quanti al mar consegna
La cupidigia de’ mortali! Quanti
Ne spinge in guerra all’altrui danno e ai pianti
Crudele ambizion, quando si sdegna! 4
Quanti ne la città la turpe insegna
Seguon d’ozio inimico ai nodi santi!
E tu, perversa età, quei lodi e vanti,
E noi sol gravi di calunnia indegna? 8
Noi poche verginelle, a cui la face
Di caritade accende il divin lume,
E penitenza e solitudin piace; 11
Noi che, supplici ognor davanti al Nume,
Sul popolo invochiam dovizia e pace
E custode a le leggi aureo costume? 14
La vaga Primavera
Ecco che a noi se ’n viene
E sparge le serene
Aure di molli odori. 4
L’erbe novelle e i fiori
Ornano il colle e il prato :
Torna a veder l’amato
Nido la rondinella. 8
E torna la sorella
Di lei a i pianti gravi;
E tornano a i soavi
Baci le tortorelle. 12
Escon le pecorelle
Del lor soggiorno odioso ;
E cercan l’odoroso
Timo di balza in balza. 16
La pastorella scalza
Ne vien con esse a paro;
Ne vien cantando il caro
Nome del suo pastore. 20
Ed ei, seguendo Amore,
Volge ove il canto sente :
E coglie la innocente
Ninfa sul fresco rio. 24
Oggi del suo desio
Amore infiamma il mondo;
Amore il suo giocondo
Senso a le cose inspira. 28
Sola il dolor non mira
Clori del suo fedele;
E sol quella crudele
Anima non sospira. 32
Qual cagion, qual virtù, qual foco innato,
Signore, è quel che la tua mente accende,
Quando ogni cor, da’ versi tuoi beato,
Da i labbri tuoi meravigliando pende? 4
È spirito? è materia? è dio, che scende
L’una o l’altro agitando oltre l’usato?
Come l’Estro in te nasce? e come stende
In noi sue forze imperïoso e grato? 8
Tu l’arcano ch’io cerco esponi al giorno:
E mentre il ver da le tue labbra espresso
Splenda di grazie e di bellezze adorno, 11
Crederò di veder, lungo il Permesso,
Fra il coro de le Muse accolte intorno,
Parlar de le tue doti Apollo istesso. 14
Qual fra quest’orme inculte orride rupi,
C’han di nevi e di ghiacci eterno manto,
Echeggiando per entro a gli antri cupi
Odo accostar melodïoso pianto? 4
Ah ti conosco al volto, al plettro, al canto,
Giovin di Tracia, che il bel core occùpi
Sol di tua doglia; e d’ammansare hai vanto
Gli uomini atroci e gli stessi orsi e i lupi. 8
Deh un momento ti arresta; e il caro oggetto
Come perdesti, e gl’infortunii tui
Canta; e ne inonda di pietade il petto. 11
Qui Baccanti non son; ma Ninfe, a cui
L’alma è gentile, e più d’ogn’altro affetto
È dolce palpitare a i casi altrui. 14
Ahi qual fiero spettacolo
Vegg’io, che il cor mi fiede,
Sotto a la luna pallida,
Là di quel gelso al piede? 4
Una donzella e un giovane
In loro età più acerba
Ecco trafitti giacciono
Insanguinando l’erba. 8
Oh dio, che orror! La misera
Sembra morir pur ora;
E il crudo acciar nel tiepido
Seno sta immerso ancora. 12
L’altro comincia a spargere
Già le membra di gelo;
E ne la mano languida
Tien lacerato un velo. 16
Ahi per gelosa furia
Un tanto error commise
Il dispietato giovane....
Ma chi lui stesso uccise? 20
Intendo. Aperse un invido
Rivale i bianchi petti;
O un parente implacabile
Ai furtivi diletti; 24
Indi fuggendo, il barbaro
Ferro lasciò confitto,
Che testimon del perfido
Esser potea delitto. 28
Ma tu sorridi? Ingannomi
Forse nel mio pensiero?
Tu dal crudel mi libera
Dubbio; e mi spiega il vero. 32
A te diè di conoscere
Le cose Apollo il vanto,
E dilettarne gli uomini
Col divino tuo canto. 36
Ne’ più remoti secoli
Apparver strane cose,
Che poi son favolose
Credute a questa età. 4
Lascio conversi in alberi,
In sassi, in fonti, in fiumi,
E gli uomini ed i numi
Cose che il vulgo sa. 8
Sol parlo d’un miracolo,
Ch’or niegan le persone,
Non so se per ragione
O per malignità. 12
Questo è una donna egregia
Che, per salvar da morte
Uno infermo consorte,
Lieta a morir se ’n va. 16
Ed ei, da morte libero
E da la moglie insieme,
Odia la vita e geme
E vuol la sua metà. 20
Fin che un amico intrepido,
Per lui sceso a lo inferno,
La toglie al fato eterno
E intatta a lui la dà. 24
Alceste, Admeto ed Ercole
A te, gentil cantore,
Poetico furore
Veggo che inspiran già. 28
Dunque il bel caso pìngine
E fa’ de’ prischi tempi
Veri parer gli esempi
D’amore e d’amistà. 32
Sai che d’Admeto pascere
Febo sdegnò gli armenti:
Sai che de’ suoi lamenti
Ebbe di poi pietà. 36
Oh quanto a tai memorie
Avrà diletto! Oh quanto
Dal sublime tuo canto
Rapito penderà! 40
Tanta già di coturni, altero ingegno,
Sovra l’Italo Pindo orma tu stampi
Che andrai, se te non vince o lode o sdegno,
Lungi dell’arte a spazïar fra i campi. 4
Come del cupo ove gli affetti han regno
Trài del vero e del grande accesi lampi
E le póste a’ tuoi colpi anime segno
Pion d’inusato ardir scuoti ed avvampi! 8
Perchè del genio tuo sublime ai passi
Ostano i carmi? e dove il pensier tuona
Non risponde la voce amica e franca?
Osa, contendi; e di tua man vedrassi
Cinger l’Italia omai quella corona
Che al suo crin glorïoso unica manca. 14
Predâro i Filistei l’Arca di Dio,
Tacquero i canti e l’arpe de’ leviti
E il sacerdote innanzi a Dagon rio
Fu costretto a colar gli antiqui riti. 4
Ma al fin di Terebinto in sul pendio
Vinse Davidde; e stimolò gli arditi;
E il popol sorse; e gli empii al suol natio
Fe’ dell’orgoglio loro andar pentiti. 8
Or Dio lodiamo. Il Tabernacol santo
E l’Arca è salva; e si propone il Tempio,
Che di Gerusalem fia gloria e vanto. 11
Ma splendan la giustizia e il retto esempio
Tal che Israèl non torni a novo pianto,
A novella rapina, e a novo scempio. 14
La penitenza del mio fallo grave,
Chino e tremante al Golgota mi mena:
Mira, poi dice, l’affannosa trave,
Che fu per le tue colpe a Cristo pena!
Te questa a salutare aura serena
Trasse per le procelle amica nave:
Quindi sgorgò d’amor l’immensa piena
Onde avvien ch’ogni sozza opra si lave.
Allor la stringo e bacio; e dal cor punto
Lagrime verso, che nel sangue assorte
Del divin agno, a me recan salute;
E grido: O scala che a salir virtute
Sola mi doni! è ver, tardi son giunto
Ma da te non sciorrammi altri che morte.
Dolce dopo un alpestro, orto cammino
Giugnere in Pindo; e de la fronda côrre,
Che in riva di Penèo già venne a porre
Sue radici, arbor nove e pellegrino 4
Ma dopo superato il giogo alpino,
Scorger altri improviso il piè disciorre,
E vedersi in un punto il premio tôrre,
A cui già si sperava esser vicino, 8
Amaro, ahi troppo! Illustre Giovinetto,
I’ t’invidio, egli è ver; ma a te pur giova
Questo ch’a forza in cor mi sorge affetto; 11
E a me non manco a te più chiara e nova
Gloria cresce l’Invidia e per lo stretto
Arduo sentier fa che men tardo , muova. 14
Del suo U.mo Serv.r
Giuseppe Parini
Ove morì, ove visse ed ove nacque,
Sparse tal lume di dottrina intorno,
Che fia sempre più chiaro assai del giorno
Lo stile onde giovando ad altrui piacque. 4
La bassa Invidia e ‘l vulgo ignaro tacque,
Che suol far onta ai sacri vati e scorno;
Poichè gli scritti suoi reser sì adorno
Di Pindo il lauro e le poetic’acque. 8
Oh per calle onorato al tuo ben scorto,
Quadrio felice, il tuo volume fia
Che te renda immortale ed altri accorto: 11
E l’origin celeste ivi, e sua via,
Glorïosa mirando, avrà conforto
L’afflitta e sconsolata Poesia. 14
Fior de le vergini, non pur che sono,
Ma che mai furono e che saranno,
Bambin chi diedeti sì caro in dono,
Che alati spiriti servendo stanno ? 4
Posto ha l’etereo sublime scanno
Per te l’Altissimo in abbandono;
E tra le grazie, ch’ornando il vanno,
Del tuo sen formasi amabil trono. 8
Oh come il tenero fanciullo mai
Sugge avidissimo quindi l’umore
Ch’ambrosia e nèttare vince d’assai! 11
Non pure al piccolo Divin Signore,
Ma a tutti gli uomini vita darai,
Fior de le vergini, col tuo licore. 14
Sì, fuggi pur le glebe e il vomer duro
Ch’io ti die’ in pena dell’antico fallo:
Credi però dell’oro ergerti un vallo
Ove tra gli ozii tuoi viver securo? 4
Tristo! non sai ch’io ’l mio furor maturo,
Ma non l’oblio giammai? che piedestallo
Mal fermo ha la tua sorte? e che in van dallo
Stento t’invola impenetrabil muro? 8
Dio così parla: e ratto move a danno
De’ possenti le cure atre e quel crudo
Lanïator de gli uman petti affanno. 11
Bella Innocenza intanto il braccio ignudo
Sul vomer posa, e fra sè dice: Ond’hanno
Tal dolcezza le stille auree ch’io sudo? 14
Signor, poi che degnasti a i versi miei
Dar sì benigna lode, a che li rendi
Tosto che letti? E chiara sede nieghi
Al lor breve volume in tra i molt’altri
Che buon giudice aduni o che felice 5
Autor descrivi? Al vulgo in pelli adorne
Piace i libri ammirar; ma tu non curi
Specie o colori, ape sagace intenta
Solo i dolci a sorbir celati sughi.
Forse dalle dottrine alte e severe 10
Che a te forman tesoro indegni credi
Questi miei scherzi? No. Tuo senno integro
Non vieta espor l’utile e il ver scherzando.
Spesso gli uomini scuote un acre riso:
Ed io con ciò tentai frenar gli errori 15
De’ fortunati e de gl’illustri, fonte
Onde nel popol poi discorre il vizio.
Nè paventai seguir con lunga beffa
E la superbia prepotente, e il lusso
Stolto ed ingiusto, e il mal costume, e l’ozio, 20
E la turpe mollezza, e la nemica
D’ogni atto egregio vanità del core.
Così, già compie il quarto lustro, io volsi
L’Itale Muse a render saggi e buoni
I cittadini miei: così la mente 25
Io d’Augusto prevenni; a cui, se in mezzo
All’alte cure, de’ miei carmi il suono
Salito fosse, a la salute, a gli anni
Onde son grave avrei miglior sostegno;
E al termin condurrei la impresa tela. 30
Dunque, o signore, a la tua man concedi
Che rieda il mio volume; ond’altri veggia
Che, se tu dotto vi lodasti alcuno
Pregio dell’arte, la materia e il fine
Tu consultor del trono anco ne approvi. 35
O Povertà, che dal natio soggiorno
Fai le dolenti turbe errar lontane,
E per somma dell’uomo ingiuria e scorno
Le costringi affamato a cercar pane; 4
Quanto volte al Mian farai ritorno,
Non udrai chiuder porta o latrar cane,
Sien pur le vesti che tu hai d’intorno,
E le parole tue, diverse e strane : 8
Ma con pronto soccorso a le tue brame
Egli offrirà la sua povera mensa,
E vorrà parte aver ne la tua fame 11
Però che tutti con affetto eguale
Sa gli uomini abbracciar quell’alma immensa,
E fa suo cittadino ogni mortale. 14
Milan [17] rammenta ancor quel lieto giorno
Che pria ti vide, e le felici squadre
Di teneri garzon che a te d’intorno
Benedicendo ti chiamavan Padre. 4
E riverisce il loco ove soggiorno
Prima lor desti; e quei togliendo a l’adre
Perigliose miserie ed a lo scorno,
Tu li volgevi ad alte opre leggiadre. 8
E del pio duce ancor loda la mano,
Ch’oro ti offrì; ma ripensando al zelo
Onde tu il rifiutasti, ammira e tace. 11
E per te apprendo che dal Mondo vano
Nulla desia colui che serve al Cielo
E che, giovando a l’uomo, a Dio si piace. 14
Quando il Nume improvviso al suol Latino,
Benchè colando i rai, sentir si féo,
Scosse Roma i gran fianchi e il cor s’empiéo
Di speme, e volse in mente altro destino. 4
Mugghiò l’urna del Tebro e al mar vicino
Piú rovinoso il suo fragor cadéo :
Balzàro i sette colli ; e dal Tarpeo
Vibraron l’aste lor Marte e Quirino. 8
Ma la Superstizïon col cieco morso
Frenò gl’impeti arditi a Roma in petto
E grave le posò sul senil dorso. 11
Quella infelice ripiombò sul letto
Di sue vergogne, e disperò soccorso:
E il momento miglior sparve negletto. 14
Perchè nel mar di procellosa vita
Men dubbia guidi la sua fragil nave,
Natura, all’uom, valido schermo addita
Nel sano marital giogo soave. 4
Ma qual, Bicetti, di sì larga alta
Avran pro le vulgari anime ignave,
Se fra gli Sposi ogni virtù sbandita
Han de la nostra età le usanze prave? 8
Ride l’Italia, prostituta e serva,
Se nobil cor la prisca fe’ rammenta,
E al talamo nuzial sue leggi serva. 11
Rida la stolta, e i mali suoi non senta
Ma vegga insiem, come in te avvampi e ferva
Quell’aurea face che negli altri è spenta. 14
Poi che la gran Teresa i serti frali
Sciolse, al vero affrettando eterno alloro,
Atro duolo improvviso estese l’ali
Sopra la terra, e sopra il mar sonoro. 4
Le genti, che da’ suoi Genii Reali
Ebber fida difesa, alto ristoro,
Piagnean, mille additando opre immortali,
La Protettrice, anzi la Madre loro. 8
Piagnea l’Europa l’auspice Bontade,
Che i nodi de la Pace e de l’Amore
Al discorde compose ampio Emisfero. 11
Piagnea l’orbo, universo il suo splendore,
E il raro sopra il trono esempio altero
Di Fede, di Giustizia, e di Pietade. 14
Scorre Cesare il mondo, e tutto ei splende
Sol d’egregia virtude, e il fasto sdegna:
E tra’ popoli avvolto il vero apprende,
E dall’alto de’ troni il giusto insegna: 4
Indi a stranio poter limiti segna;
Qui de le genti la ragion difende;
E all’oppresso mortal da forza indegna
Or la mente ora il piè liberi rende. 8
Toglie alla frode e all’ignoranza il volo;
Fonda l’util comune; e, ovunque ei giri,
Veglia, suda, contende, arde di zelo. 11
E fa che il mondo in lui rinati ammiri
Quei che la prisca età pose nel cielo,
Teseo, Alcide, Giason, Bacco ed Osiri. 14
Teseo, Osiri, Giason, Bacco ed Alcide
Scorrer la terra e il mare, anime ardenti,
E portar guerra a gli uomini nocenti,
E al debole apprestar le braccia fide, 4
E poner leggi, e condur l’arti, e guide
Far de la copia il suolo e l’onda e i venti,
E offrir sè stessi, e stabilir le genti,
La prisca età meravigliando vide. 8
Ben de’ lor fatti la beltà decora
Contaminò finger profano e stolto
Onde il vulgo s’inganna e il vero ignora: 11
Ma chi dotto all’età scoprir sa il volto,
In quelli eroi mille virtudi onora
Che poi Cesare solo ha in sè raccolto. 14
Allor che in terra ebbe soggiorno Astrea
E un nome sol fu re, padre e pastore,
Spesso dinanzi al placido signore
L’innocente scherzar popol solea; 4
E fra i liberi giochi alto esprimea
L’anima paga e l’esultante core;
E nel gaudio comun sparso al di fuore
La propria lode il reggitor vedea. 8
O tu che, intento a rinnovar nel mondo
D’ogni prisca virtù l’esempio altero,
Degni lo sguardo a noi volger secondo; 11
Se da gli scherzi nostri entri al pensiero,
Vedrai come ogni cor lieto e giocondo
Senta il favor del tuo paterno impero. 14
Alto germe d’eroi, cui diè Natura,
Il popolo ad amar, cor grande e schietto,
Sì che, dovunque hai d’abitar diletto,
Sei del popol tu pur delizia e cura; 4
Or che concesso è all’Insubre ventura
Mirar vicino il tuo sublime aspetto,
Queste non isdegnar che il nostro affetto
Nuove per gli occhi tuoi pompe figura. 8
Chè, se, destra, imitò tue voglie, pronto
A i forti studii e all’utile fatica,
Gente feroce sul Toscano ponte; 11
Noi mostrerem, ne la sembianza antica,
Con mite scherzo, a te scesi dal monte,
Quant’hai la mente a i dolci sensi amica. 14
Bella gloria d’Italia, alma Sirena,
Che non con arte o con fallaci detti,
Ma con mille virtù l’anime alletti,
E lieta fai di te l’onda Tirrena; 4
Poi che vento propizio a noi ti mena,
Ecco, già sorti da gli angusti letti,
L’Adda e il Tesin, tributo offron d’affetti
A te dell’ampio mar luce serena: 8
E noi genti montane in riva scese,
Se non perle e coralli, almen natía
Preda portiamo al nume tuo cortese. 11
Perchè Giove due cori a noi non diede?
Chè l’un sarebbe tuo, l’altro saría
Intatto all’altra Dea, che già il possiede. 14
Grato scarpel, su questa pietra incidi
Il fausto dì, quando a’ miei Lari apparse
Colei che, Diva de gli Adriaci lidi,
Chiara fama di sè nel mondo sparse. 4
Scrivi qual di virtù, di grazie, io vidi,
D’ingegno, di saper, luce spiegarse
E quanta in me di puri sensi e fidi
Subita fiamma inestinguibil arse. 8
Scrivi che, se da gli occhi miei fu pronta
Gli alti pregi a rapir, pur mi consola
Dolce speranza che al partir mi diede. 11
Ma se poi le promesse il vento invola
D’Adria pel mar, taci i miei danni; e l’onta
Non eternar de la mancata fede. 14
Silvia immortal, ben che da i lidi miei...
Se a me il destin di celebrar contende
Nel tuo cospetto, inclita Donna, il giorno
Che a te diè vita, e fece il mondo adorno
D’ogni pregio e virtù che in Ciel risplende; 4
Gradisci almen quel che da lungi ascende
Puro mio culto al tuo regal soggiorno,
E gl’inni accogli onde sonar fè intorno
L’eco silvestre che il tuo nome rende. 8
Sai che indegni di te più non son questi
Lari e le tazze che di vini or empio
Te festeggiando in fra gli amici onesti; 11
Poi che del prisco Filemon l’esempio
Ospite nume ritornar qui festi,
E la capanna mia cangiasti in tempio. 14
Poi che tu riedi a vagheggiar dell’etra,
Inclita Saffo, ancor gli almi splendori,
E così dolce ancor fiedi la cetra
Ove gli antiqui tuoi spiran calori; 4
Se la imagin crudel te non arretra,
Dinne tu stessa i disperati amori
Onde nel mar da la Leucadia pietra
Cadesti, odiando i già sì grati allori. 8
Chè se i duri tuoi casi uditi altronde
Fan che tu sei tanto lodata e pianta,
Che fia l’udirli dal tuo sacro ingegno? 11
Ma già l’estro la invade. Ampia diffonde
Fiamma da gli occhi; e di tacer dà segno.
Ecco: l’inclita Saffo, ecco, già canta. 14
Note
__________________________
[1] XI. Dalla Raccolta di poetiche composizioni per le felicissime nozze fra SS. EE. il signor D. Alessandro Ottoboni duca di Fiano e la signora Lucrezia Zuliana, Venezia, Francesco Pitteri, 1757. Importa riferirne anche la dedica:
« Dedicata a S. E. la signora Duchessa D. Maria Vittoria Serbelloni, nata Principessa Ottoboni, zia dello sposo, dal dottor Carlo Goldoni »; perchè essa dedica unisce dunque insieme, in qualche modo, i due maggiori osservatori del costume italiano nel Settecento; e, una volta di più, unisce il nome del P. a quello di chi gli fu, almeno per qualche tempo, amica e protettrice.
L’epistola del P. vi ha il titolo erroneo di « Canzone ». F. COLAGROSSO, il quale poi primo indicò questi versi, sepolti nella suddetta Raccolta (Un’usanza letteraria in gran voga nel Settecento, Firenze, Le Monnier, 1908, pagg. 112 sgg., e pagg. 128 sgg.), fu d’opinione che quel titolo «dove avergli dato spensieratamente il Goldoni nella fretta della compilazione del volume»; ed è sospetto ragionevole. Mi pare non inutile riferire dal COLAGROSSO anche alcune altre parole che servono a ben chiarire l’accenno finale alla immortale Vittoria che in debole sesso imitava i maschi avoli: «Donna Maria Vittoria aveva tradotto il Teatro del Destouches, e il Verri confessava di dovere a lei d’aver conosciuta la bella letteratura francese e d’aver conservato genio ai libri. Se non ci fossero stati di mezzo gli schiaffi alla Sammartini, il Parini non avrebbe lasciato nel 1762 la casa della nobil dama, dov’egli, come fu detto, faceva il comodo suo »
[2] XIII. Dalla raccolta All’ornatissimo sig. Giuseppe Giuliani per le nozze della gentilissima sig. Rosa di lui figlia con il degnissimo sig. Gaetano Fiori, Milano, Agnelli, 1758. Ma. in Ambros., III, 1, non autografo, a pag. 25, che avverte essere il son. stampato nella stessa raccolta dove è il capitolo Signora Rosa mia, e in Ambros., III, 5, di mano di G. G. TRIVULZIO, a pag. 588, con l’avvertenza esser copia di quella stampa. (contiene anche il sonetto XIII)
[3] Caterina Gabrielli, famosa cantante, detta La Cochina, per la quale ha scritto più sonetti (anche XVI, XVII, ed altri)
[4] Dalla raccolta Applausi poetici per la gloriosa esaltazione al suprem. di pontificato Clemente XIII, ecc., Milano, G. Richino Malatesta, 1758, pag. xxi. 111, 5, pag. 84, di mano di G. G. Trivulzio.
[5] In morte del Conte Giuseppe Maria Imbonati, Milano, 1769.
[6] Per la decollazione di San Giovanni Battista, nella solenne festa celebrata il dì XXIX agosto in Busto Arsizio nel 1770
[7] Epigramma in morte del poeta Domenico Balestrieri, 1780
[8] Si rifletta che al tempi del P. i pianeti noti erano sei (Terra, Mercurio, Venero, Marte, Giove, Saturno) e si rammenti che nel Mezzogiorno, v. 90 3, il P. stesso a « Venere » annotò « uno de’ sei Pianeti ».
[9] La cometa di Halley 1759
[10] Dalla raccolta Odi dell’abbate G.P. già divolgate, Milano, G. Marelli 1791, pagg. 48-50col titolo La Primavera colla seguente didascalia: «Stesa anche questa [cioè come “Vada in bando ogni tormento pressochè improvvisamente nel 1765, per compiacere una persona che la desiderò di mettere in musica per il combalo».
[11] Da Odi, ecc., Milano, Marelli, 1791, col titolo « Piramo e Tisbe, ad uno Improvvisatore »; e nella nota si ha: « Invitato l’ab. P. a dare due temi ad un nobile e applaudito improvvisatore, che fu a Milano varii anni fa, stese questi due piccoli componimenti, che poi andarono per varie mani ». L’altro componimento è il XLVIII.
[12] Da Odi, ecc., Milano, Marelli, col titolo « Alceste »
[13] Da Odi, eco., Milano, Marelli, 1791; dove si ha: «Un sensato ed elegante Sonetto dell’Ab. Parini corse per ’Italia fin da questi anni addietro In lode del Conte Alfieri. L’Editore crede opportuno di recarlo qui tale appunto, quale fin da prima fu scritto »
[14] Dall’autografo, che è esposto in quadretto nella Ambrosiana (nel v. 14 è possibile la lettura novelle rapine). Nel foglio a stampa Dai professori di canto e di suono facendosi celebrare sabato XXXI agosto MDCCXCIX nella Chiesa parrocchiale de’ RR. PP. Capuccini di P. 0. Messa solenne e Te Deum in rendimento di grazie all’Altissimo per le segnalate continue vittorie della gloriosa armata Austro-Russa, le quali hanno restituito questo Stato al vero culto di Dio ed al felice governo di S. M. I. R. A. Sonetto dedicato agli illustrissimi ed eccellentissimi cavalieri protettori benemeriti del pio Istituto filarmonico sig. Conte Don Carlo di Castelbarco, sig. Marchese Don Bartolomeo Calderari. Dopo il sonetto la stampa prosegue: « Il presente sonetto fu composto dal famoso Poeta Abate Don Giuseppe Parini, Professore d’Eloquenza e d’Arti in Milano, poche ore prima che compisse il corso della sua mortale carriera »; e dà le indicazioni tipografiche: In Milano, Presso Giambattista Bianchi Reg. Stamp. Colla Permissione. Un esemplare di essa, presenta delle correzioni a penna sopra cancellature stampate; in margine, a destra, della mano stessa: « Le correzioni appostevi sono conformi alla prima lezione trascritta a dettatura dell’autore, ch’egli poi stimò dover cambiare, ma che da più persone di buon gusto e di criterio vien proferita alla seconda stampata ». Il REINA annota che il P. scrisse di suo pugno il son. la mattina del giorno in cui morì (15 agosto 1799) e che lo dettò, pochi momenti dopo, al suo collega e amico Paolo Brambilla con le « lezioni varie », e intenderemo « correzioni », qui introdotte nel testo. ... Nel quadretto che nell’Ambrosiana ha l’autografo sopra indicato, fu scritto come titolo sull’autografo stesso « Sonetto. 1799. Li 15 agosto », e, sotto, « Ultimo Manuscritto Fatto dal Celebre Poeta Abbate D.r Giuseppe Parini Due Ore Prima della Sua Morte ».
[15] Titolo del Reina che annota: «Questo buon Tedesco, dotto nelle leggi, fu spedito da Giuseppe II ad ordinare il Foro Lombardo. Avendo egli conosciuto il Parini, gli lodò molto i suoi Poemetti del Giorno. Questi glieli regalò, ma per fretta, o inavvertenza, legati rusticamente. Il Tedesco se ne offese e glieli ritornò. Parini rimandandoli a lui con questi versi».
[16] Il Reina porta il titolo: Per Girolamo Miani. (Fondatore de’ Chierici Somaschi, il padre degli orfani ed il verace amico dell’umanità).
[17] Girolamo Miani
[18] Per l’improvvisa venuta in Roma dell’Imperatore Giuseppe II in mezzo ai movimenti e alle acclamazioni straordinarie del popolo. - «1769. Per l’Imperadore a Roma»
[19] datato 1778 - Giovanmaria Bicetti de’ Buttinoni (zio per parte di sorella di Carlo Imbonati, al quale è dedicata l’ode per l’innesto del vaiuolo.
[20] Il Reina annota: « A Maria Carolina Regina delle due Sicilie: Parini cantò di lei prima che diventasse persecutrice delle innocenti opinioni. Pentitosene dappoi cancellò da’ suoi codici questo sonetto in guisa quasi inintelligibile. Ci perdoni la grand’Ombra, se lo abbiamo fatto rivivere, perchè esso è fondato in parte sul vero. Maria Carolina mostravasi amabile ed ingegnosa. La mascherata ebbe luogo in Milano nel 1785, quando eravi l’Imperatore Giuseppe II ed i Sovrani delle Due Sicilie ». Che il P. cancellasse « da’suoi codici » il son. non è vero; oltre che.7 nell’autografo, si legge In Ambros., III, 8, pag. 111, di mano del Gambarelli, in A mbros., III, 5, pag. 40, e altresì pagg. 165-166, d’altra mano. Onde il sospetto che la soppressione in III, 4, sia opera del REINA medesimo (cfr. il luogo sul Machiavelli nel Principii di Belle Lettere); Il quale si sarebbe poi arretrato, dinanzi alle altre copie, dal gesto rabbioso e si sarebbe pentito del fallo. Al v. 14 egli annota: « Maria Beatrice da Este Arciduchessa d’Austria ». Quanto alla Mascherata del Facchini, usanza per cui il son. fu scritto, cfr. il P. medesimo nella Descrizione delle feste celebrate in Milano per le nozze delle LL. AA. RR. l’Arciduca Perdinanáo d’Austria e l’Arciduchessa Maria Beatrice d’Este, ecc.. I Sovrani delle Due Sicille restarono in Milano dal 11 al 23 luglio di quell’anno 1785.
[21] «a N.D. Veneziana», Cecilia Renier Tron
[22] Sonetto presente nella lettera (XXXIX) del 12 marzo 1789 alla Contessa Silvia Curtoni Verza, veronese
[23] Seguo l’autografo Ambros., 11, 2, pag. 5, che ha la didascalia: « A Sua Altezza Ser.ma la sig.ra Principessa di Carignano in nome del M.se Molinari . In Ambros., III, 1, non autografo, pag. 1, è più particolareggiata la stessa didascalia, con l’indicazione della villa La Molinara presso Varese, e della data, agosto 1790. In Ambros., III, 6, pag. 41, copia calligrafica del son., è più ampia ancora la didascalia : «Li 26 agosto 1790. Il Marchese Consiglier Molinari Invitato dalla Principessa Vedova di Carignano [in postilla: * S. A. R. Giuseppina Teresa Principessa di Lorena Armagnac, vedova del fu Vittorio Amedeo, e madre del Principe Regnante, nata nel 1753 ] ch’era stata da lui albergata in Varese, pel vicino giorno natalizio della medesima ad una villa presso il Lago Maggiore ov’Ella si tratteneva, scusasi col seguente sonetto composto dall’abate Parini ivi presente ».
[24] Seguo l’autografo Ambros., III, 4, pag. 181. dove ha il titolo «Per improvvisatrice »; e al v. 13, prima piacer, poi, corretto in tacer. In Ambros., III, 1, pag. 15, il titolo è: « Argomento proposto ad Amarilli Etrusca »... In Ambros., III, 6, pag. 19, la didascalla: « Tema dato dall’ab. Don Giuseppe Parini all’improvvisatrice Bandetini [sic] in casa di S. E. il sig. Conte Ministro Plenipotenziario de Wilzeck, li 11 aprile 1793 ». ... Teresa Bandettini Landucci (di Lucca, 1763-1837), fattasi presentare al P., si sentì dire da lui « con un garbo non iscompagnato dalla dignità ch’era in lui, si può dire, seconda natura, e con un porger di voce che palesava l’interna persuasione - Signora Teresa, io credeva, dopo avere udito il duca Molo [sic: Gaspare Mollo, napoletano, 1754-1823], che, non che superarlo, nessuno lo potesse uguagliare nell’improvvisare: dopo udita lei, mi ricredo in tutto ». Così il presentatore della Bandettini al P. ; che fu GIUSEPPE BERNARDONI, Il quale ciò narra nelle sue Testimonianze storiche concernenti G. P., Milano, Bernardoni, 1848.
© 1996 - Tutti i diritti sono riservati Biblioteca dei Classici italiani di Giuseppe Bonghi Ultimo aggiornamento: 13 maggio 2006 |
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