Edizione di riferimento:
Vita di Francesco Petrarca scritta da incerto trecentista, presso Gaetano Romagnoli, Bologna1861.
Giudico non debba tornare affatto intempestivo il dar luogo in questa Scelta di curiosità letterarie inedite o rare il presente opuscolo, scritto in sul finire dell’aureo trecento, e pubblicato la prima volta in Roma nel 1471, insieme al Canzoniere del Petrarca; e poscia ristampato in Padova nel 1819-20 dal benemerito Sig. Prof. Marsand, che lo inserì nel libro della tanto rinomata Biblioteca Petrarchesca. Sopra questa edizione, pure abbastanza rara, ho eseguito religiosamente la mia, colla fiducia di far cosa grata a tutti gli amatori e raccoglitori di simili cimeli, a’ quali intendo di rendermi il più che possibil sia benevolo.
GAETANO ROMAGNOLI.
Petracco figliuolo di Parenzo, cittadino fiorentino disceso d’assai antica ed onesta famiglia; e l’origine loro fu da Lancisa, villa presso a Firenze miglia xiiii; uomo prudente ed attivo, e per la repubblica in più gravissimi casi adoperato e sopra le riformagioni di quella per alcun tempo fu scriba. Di poi da parzialità contaminato, con molti altri di parte Bianca, di Firenze fa espulso, e mandato in esilio ad Arezzo; dove, alquanto tempo dimorato, ebbe due figliuoli; de’ quali il primo ebbe nome Gherardo: e questo fu monaco di Certosa, ed in quella, perseverando con buona fama, sua vita finì. E l’altro fu detto Francesco, di poi Petrarca, dal nome del padre connominato. E nacque in questa ultima età del nostro Signore Gesù Cristo m.ccciiii. in calendi d’Agosto, in dì di Luna all’aurora. E stette in Arezzo l’anno primo della sua infanzia, e li sei seguenti a Lancisa sopraddetta, e l’ottavo in Pisa abitò. Ed in questo tempo, mancata al padre la speranza di ritornare in Firenze, se n’andò ad Avignone, dove la corte Romana nuovamente era transferita; ed in quella con moralità di costumi e sottigliezza d’ingegno surgendo, e quivi e in Carpentrasso, piccola città ad Avignone propinqua, grammatica, dialettica e rettorica, quanto alla età sua e in tali scuole era possibile, intese. Di poi a Mompelieri, per comandamento del padre, a studiare in leggi quattro anni stette fermo; e da quivi a Bologna; dove, perseverando tre anni, tutto il corpo di ragione civile imprese; giovane, che a gran perfezione sarebbe venuto, se tale studio continuato avesse. Ma, perchè la natura sua a più alte cose era tirata, nascosamente, per reverenza del padre, ogni pensiero di lui era circa gli studii di umanità. Di poi, rivocata la madre dall’esilio, e il padre di questa vita privato, totalmente dalle leggi si tolse; non perchè l’autorità di quelle a lui dispiacesse, ma perchè l’uso di esse dalla malizia degli uomini essere depravato, ed appena senza vizio poterle usare, conoscea; e poscia, a filosofia, ed alle altre arti liberali apertamente fu dedito. Ed ebbe tanta grazia d’ ingegno, che fu il primo, che questi sublimi studii, lungo tempo caduti in oblivione, revocò alla luce. Ed in questo tempo, già d’anni xxiii, ritornò ad Avignone. E andando il Venerdì Santo, che fu a dì vi d’Aprile, per le divozioni (come s’usa), si scontra nella chiesa di Santa Chiara in una bellissima giovane chiamata Loretta, la quale abitava in un piccolo castello propinquo ad Avignone, e similmente per le indulgenze era venuta; e di lei ardentissimamente s’innamorò; e xxi anni continui, lei vivente, in tale amore stette fermo. Questa poi nelle sue rime Laura per miglior consonanza da lui fu detta. E quantunque gli volse essere data per donna ad instanza di Papa Urbano Quinto, il quale lui singularmente amava concedendogli di tener colla donna i beneficii insieme, nol volse mai consentire; dicendo che il frutto che prendea dell’amore a scrivere, di poi che la cosa amata conseguito avesse tutto si perderia [1]. Ed in questo tempo la prima parte de’ sonetti e canzoni morali in laude delle sue bellezze descrisse. Onde la sua familiarità da notabili ed illustri uomini si cominciò a desiderare, fra i quali fu la famiglia de’ Colonnesi, gente famosa e di somma virtù, che in corte di Roma ebbono grandissimo stato in quel tempo. E richiesto principalmente da Jacopo dalla Colonna, vescovo Lomberiense in Guascogna, con esso si condusse: dove sotto li monti Pirenei, che la Francia dalla Spagna dividono, una state con tanta piacevolezza stette ad abitare, che sempre quel luogo nelle sue epistole ricordando, celestiale l’appella. E di poi da lui partito, sotto il suo fratello Giovanni dalla Colonna Cardinale, non come suo signore ma padre, alquanto visse. In questo tempo, mosso per giovinile desiderio di vedere nuove regioni, la Francia e l’Alemagna a cercar si mise; e prima a Parigi si transferì, per vedere se la fama, che di quella Città volava, vera o falsa fosse. Dopo la qual peregrinazione, a Roma se ne venne: del desiderio di quella in fino da puerizia di vedere era stato acceso; e massime per visitare Stefano dalla Colonna, principe e padre di quella famiglia; e molto gratissimamente da lui ricettato fu. Ma non piacendo a lui i costumi della corte Romana, ad Avignone si tornò; e quivi alcun remoto e giocondo luogo agli studii ricercando, trovò una valle, che Chiusa s’appella, ed ivi un bello e chiaro Fonte, che Sorga per nome è detto. Preso adunque per l’ amenità e solitudine del sito, in quella si pose ad abitare, dove gran parte delle sue opere scrisse; del qual luogo in esse più volte fa menzione; ed infra gli altri, quivi a l’Africa, libro poetico delli gesti di Scipione Africano, diè principio. Da indi partito, già d’anni xxiii essendo, a Parma con i signori da Correggio, uomini nobili e chiari, si condusse; ed in quelli territorii una gran selva amena ritrovata, per la giocondità della quale acceso, quivi di nuovo all’opera dell’Africa, già intermessa, la mano appose. Da indi a Parma, dove, una piccola casa ma riposata e tranquilla comperata, si stette a scrivere con tanto ardore d’ animo, che la maggiore parte di quella compose. Da indi al fonte della Sorga ritornato, quella nobile opera a fine ridusse; per la fama della quale, come egli per miracolo pone, in un medesimo giorno avvenne, che da Roma li principali della Città, e di Parigi i Cancellieri degli studii, a lui scrisseno: quelli, che a Roma per la corona del lauro, e gli altri, che a Parigi per tale onoranza venir volesse; nella quale cosa, per consiglio di Giovanni dalla Colonna Cardinale, a Roma andar si dispose; ma prima visitò il Re Roberto, che a Napoli risiedeva; e il suo consiglio ed autorità sopra tutti seguir volse. Ricevuto adunque dal Re benignamente, ed udita da lui l’Africa in due giorni, il terzo giorno di laurea corona lo giudicò degno, volendo che quella a Napoli accettasse. Ma, veduta l’intenzione sua e il proposito fermo di voler andare a Roma, d’alcuno de’ suoi accompagnato, in Campidoglio lo fé laureare, xxxiii anni della età sua compiuto avendo. Da indi ad Arezzo, indotto dall’amore della patria si mise a ritornare; dove da’ suoi cittadini con grandissima letizia e mirabile onoranza ricettato fu. Di poi a Verona ritornato nel m.cccxlix; a dì xxix di Maggio, per lettere di Lodovico da Parma, intese l’infelice caso della sua Madonna Laura, come quello anno medesimo a dì sei d’Aprile, all’aurora, quella chiarissima luce, di questa vita fu spenta. Dopo la morte della quale, la immagine di sì tenace amore nello suo gentil core circa d’anni dieci stette fisso : nel qual tempo la maggior parte ad Avignone, nella valle di Chiusa, al fonte della Sorga, all’usata solitudine si ridusse; dove la seconda parte de’ sonetti e canzoni morali co’ trionfi insieme, in perpetua fama delle bellezze e virtù di quella, ed in memoria del suo dolore, aggiunse. E già d’anni cinquanta essendo, l’amicizia di Jacopo da Carrara prese; e, per sue lettere richiesto, a Padova se ne venne; dove con grande umanità da lui fu veduto; ed intendendo, che la vita clericale pretendea, acciocché più constantemente appresso a se tener lo potesse, il canonicato di Padova gli fé conferire. E quivi per due anni non compiuti dimorato, dopo la morte di esso, in Francia ritornò; e continuamente solo agli studii dando opera, in tanta fama e benevolenza appresso a tutti gli uomini illustri pervenne, che così da principi e signori temporali, come da Cardinali e Papi era la notizia sua desiderata; infra i quali maggiormente dal magnanimo ed inclito Visconte Galeazzo, allora di Milano Duca, da lui per lettere evocato, alquanto tempo sotto titolo di suo consigliere dimorò; e talvolta in Milano, e quando a Parma si stava. A Milano per la maggior parte ebbe la sua abitazione in villa, lungi della città miglia un, ad un luogo detto Inferno; dove la casa, da lui assai moderatamente edificata, ancora si vede. Alla fine , molto vecchio divenuto, nelle parti a Padova propinque fare l’ultima abitazione sua si dispose, e dalla bellezza del luogo invitato, e per l’amenità de’ colli Euganei, insieme con un gentile uomo Padovano, detto Lombardo della Seta, nel luogo, che Arquato s’appella, edificò una bella abitazione, d’ulivi e viti circondata: in continui diletti poetici e filosofici onestamente la sua vita trapassava; di due famigli, e d’uno scrittore contento; e diede la cura della casa e della persona sua in mano d’un prudente uomo, detto Francesco da Borsano suo genero, a cui una sua figliuola non legittima avea dato per donna. In questo luogo perseverando, del male della epilensìa, di che per la età sua era stato molto molestato, lo estremo dì della sua vita virtuosamente conchiuse; ed era d’anni lxx. Francesco Petrarca fu di persona eminente; di colore vivido; di eccellente beltà; non di gran forza, ma di somma destrezza; di singolar vista insino nella sua vecchiezza; di natura umanissimo, e di superbia avversario; né l’ira in lui mai fu tale, che in altri si stendesse; grandissimo disprezzatore d’ogni ricchezza; non perchè quelle non stimasse, ma le cure, inseparabili compagne d’ esse, avea in odio; e d’ogni ventosa pompa nimico, non solo perchè la conoscea ria, ed alla umanità opposita, ma eziandio ad ogni quietudine dell’animo contraria. A lussuria, pel fervore della età e della complessione, assai inclinato; nientedimeno quella viltà ebbe sempre nell’animo sua esosa; e dopo li cinquanta anni della sua età, avendo ancora del calore assai e delle forze, non solamente quello atto osceno, ma ogni memoria gittò via, come se femmina alcuna mai veduto avesse. Fu di vita mediocre sempre contento, e di cibi domestici più che d’altri sapori dilicati; ed ogni convito schifando, solamente cogli amici ritrovandosi, nulla cosa gli era più gioconda o cara; né mai cibo senza compagno lietamente prese. D’animo fu indegnante, ma delle ingiurie obliviosissimo; de’ beneficii ricordevole; delle amicizie oneste cupidissimo, e fedele osservatore. Della familiarità de’ gran signori, infine alla invidia, fortunato; della libertà sua fu amatore; e ad ogni buono e salubre studio attissimo, d’ingegno elevato e sottile; delle vetuste istorie curioso; e non meno della dolcezza delle sacre lettere in vecchiezza si dilettò. Di eloquenza, come veggiamo, carissimo, e pronto in versi, e in prosa, così latini come vulgari: ed in questo ebbe una dote singulare, che la prosa è leggiadra e pulita, e ’l verso limato e sonoro; e nell’uno stile e nell’altro compose assai nobilissime opere; per le quali in questa vita merita perpetua laude, ed immortal fama. E così nella eterna gloria gli abbia concesso degno loco quello, che vive e regna in saecula saeculorum. Amen.
Nota
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[1] Qui per isbaglio lo scrittore di questa vita dice, che fu Urbano V. il quale fece la proposizione al Poeta di unirsi in matrimonio con Laura ; poiché il detto Pontefice non ascese al trono se non se alcuni anni dopo la morte di Lei; sì come medesimamente fu per inavvertenza, che il Fleury nella sua storia ecclesiastica attribuisce quella stessa proposizione a Benedetto XII. predecessore di Clemente VI, poiché sa tutto il mondo, che ben altro che benefici e grazie spontanee avrebbe fatte al Petrarca quel Papa, che fu da lui spesse volte, e talora più che non conveniva, e colle parole e cogli scritti, e privatamente e pubblicamente criticato e censurato. Parmi dunque certissima cosa, che lo scrittore di questa vita non intendesse parlare, che di Clemente VI, perchè il solo Pontefice contemporaneo del Petrarca, al quale ragionevolmente attribuire si possa la sopraddetta proposizione. Ma ciò comunque si sia, l’incertezza della persona non giungerà mai a distruggere un fatto solenne così, che sembra non potersi revocare in dubbio, massime divulgato per la prima volta in Roma, e non moltissimi anni dopo la morte del Poeta; in quella città, dove certamente più che altrove era notissima la vita sua per le grandi ed illustri amicizie, ch’ei vi teneva; e dove, io credo, non avrebbe mancato qualche scrittore contemporaneo, il quale si fosse tosto presa la cura di negar questo fatto, se Laura a quel tempo fosse stata maritata.