Guspini
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Guspini | |||
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Stato: | Italia | ||
Regione: | Sardegna | ||
Provincia: | Medio Campidano | ||
Coordinate: |
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Altitudine: | 126 m s.l.m. | ||
Superficie: | 174,73 km² | ||
Abitanti: |
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Densità: | 72,66 ab./km² | ||
Frazioni: | Montevecchio, Sa Zeppara | ||
Comuni contigui: | Arbus, Gonnosfanadiga, Pabillonis, San Nicolò d'Arcidano (OR), Terralba (OR) | ||
CAP: | 09036 | ||
Pref. tel: | 070 | ||
Codice ISTAT: | 092032 | ||
Codice catasto: | E270 | ||
Nome abitanti: | guspinesi | ||
Santo patrono: | San Nicolò Vescovo | ||
Giorno festivo: | 6 dicembre | ||
Sito istituzionale |
Guspini è un comune di 12.695 abitanti della provincia del Medio Campidano, si trova a circa 126 m sul mare ai margini del Campidano. Distante 62 km da Cagliari, e 14,6 dalla stazione di San Gavino Monreale. Il paese ha un passato minerario, grazie alle vicine miniere di Montevecchio e Gennamari che davano blenda e galena. Ora, invece, si basa su agricoltura, turismo e piccola e media impresa. Nei dintorni vi sono alcuni nuraghi in buono stato di conservazione.
Indice |
[modifica] Ambiente
Una porzione considerevole del settore nord-occidentale della provincia del Medio Campidano sui bordi della zona Oristanese è occupato dal comune di Guspini che include i rilievi metalliferi dell'Iglesiente settentrionale e la pianura campidanese solcata dal Rio di Montevecchio fino ad arrivare allo stagno di Santa Maria di Neapolis. Alla parte montuosa appartengono le numerose attrazioni naturalistiche: il parco comunale di Gentilis, ricco di sorgenti, e le pinete di Monti Mannu e Montixeddu, nelle aree a macchia mediterranea gran quantità di funghi (cordulinu de murdegu e de pezza), varia selvaggina stanziale (tanto da giustificare l'esistenza di un'oasi di protezione faunistica e di una zona di ripopolamento e cattura) ed i cinghiali, mentre lo stagno di Santa Maria ospita i fenicotteri rosa (sa genti arrubia). Le cose più interessanti sono però proprie delle formazioni geologiche con la grotta di Velicanò (sul Monte Margherita) ancora non del tutto esplorata, la miniera di Montevecchio e la cava di Cuccureddu ‘e Zeppara. La miniera di Montevecchio è stata nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale una tra le più grandi e produttive miniere d'Europa. Lo testimoniano i cumuli di detriti di flottazione formanti il grande bacino di decantazione e i caseggiati dei pozzi, gli impianti e gli edifici del villaggio che oggi ospita i pochi abitanti rimasi, superstiti di una popolazione molto più numerosa che ha ormai abbandonato la frazione per trasferirsi molto spesso nelle vicine Guspini e Arbus.
In superficie si possono notare i resti dello sfruttamento degli affioramenti, il cosiddetto «cappellaccio», coltivato per frana che appare come una grande ferita aperta lungo le pendici N-O della piccola catena di monti che divide il versante di Arbus, da quello di Casargius-Montevecchio. Il resto dei monti è in parte coperto da macchia mediterranea associata a lecci e sughere, oltre a qualche pineta di rimboschimento, che si sono salvati dalla ricorrente selvaggia distribuzione boschiva estiva perpetrata dal fuoco appiccato spesso dolosamente. Il gruppo di filoni coltivato dalla miniera di Montevecchio è disposto tangenzialmente all'ammasso granitico dell'Arburese e sembra essere il riempimento da parte di fluidi mineralizzanti, di una lunga frattura apertasi negli scisti quarzosi a causa di una contrazione, per raffreddamento da parte del vicino granitico. Negli uffici della miniera, e precisamente al primo piano dell'ufficio geologico, esiste un interessante piccolo museo che raccoglie alcuni tra gli esemplari caratteristici provenienti dagli scavi della miniera stessa. Tra essi si può ammirare qualche campione di anglesite verde, alcune cerussiti, delle bariti coperte da piccoli chicchi di smithsonite ferrifera altrimenti chiamata monheimite. Campioni rari ben rappresentati sono le blende colloformi con sopra i piccoli cristalli tubici tramoggiati di galena bismutifera e le bariti quasi aciculari. I minerali che la miniera di Montevecchio nel corso del tempo ci ha offerto sono numerosissimi. Moli essi sono introvabili con il metodo della ricerca personale perché provengono dagli scavi nel sottosuolo che si sviluppano fino a toccare i 288 m sotto il livello del mare (pozzo Sartori, fiore all'occhiello della miniera).
Le anglesìti di Montevecchio sono famose per il loro colore verde, spesso smeraldino, dovuto al solfato di ferro presente in esse. Spessissimo su matrice limonitica, raramente quarzosa o galenosa, le anglesiti verdi si rinvenivano in cristalli che raramente superavano i 3 cm. La cerussite invece si mostrava, principalmente in cristalli allungati, spesso aghiformi, di colore variabile dal bianco al giallo, al marron scuro a causa della limonite che spesso la ricopriva. Alcune serie di campioni provenienti dalla zone di Telle e Sanna mostrano una bella colorazione ed una notevole fluorescenza agli ultravioletti che fa pensare ad una eventuale sostituzione della cerussite da parte della fosgenite. La barite che si ritrova nei livelli profondi della zona di pozzo Sartorì è una delle più belle ed eleganti che le miniere sarde ci abbiano regalato. Ancora oggi non è difficile trovare degli esemplari di marmarite sul quarzo candido nel cantiere di Casargius. Non sempre è conveniente girare tra gli scavi a cielo aperto che costituiscono notevole pericolo a causa della instabilità dei blocchi di roccia e delle pareti degli scavi stessi: è consigliabile farsi accompagnare nelle escursioni da persone pratiche del posto. L'accessibilità della zona è garantita da una serie di strade in condizioni ottimali di viabilità. Sulle pendici della collina di «Cuccureddu e Zeppara» nella periferia Est del paese, si trova invece una cava di basalto. Il fronte della cava, ora inattivo, ci mostra uno degli esempi migliori di basalto colonnare. Tale struttura si è determinata durante il raffreddamento della massa fusa per contrazione e conseguente fessurazione della stessa. E raggiungibile molto comodamente in macchina. Il paese sorge in una conca, al limite della pianura del Campidano, sulle pendici del sistema collinare dell'Arburese nelle vicinanze del Rio Terra Maistus e dei suoi affluenti Riu Crabase e Riu S’Acqua bella. La parte più antica del centro, di forma irregolarmente circolare, è cresciuta inizialmente lungo l'asse viario E-O, quindi ha occupato il territorio nelle direzioni ortogonali a questo asse orientandosi preferenzialmente lungo la SS 196 che lo collega con i centri di Gonnosfanadiga e Villacidro.
[modifica] Archeologia e Arte
Al Neolitico recente (III millennio a.C.) si assegnano i menhirs di Cort’e’Semmuccu, Genna Prunas e Perdas Fittas. Il periodo nuragico è rappresentato da circa trentacinque nuraghi, tra i quali Crabili (quadrilobato con antemurale esagonale) e Urradili (tribolato). L'area archeologica più rilevante è però localizzata presso il centro case sparse «Santa Maria di Neapolis», a circa 20 km a Nord di Guspini, dove era ubicata la città di Neapolis, menzionata nelle fonti classiche. Lo stanziamento umano nella località «Santa Maria di Neapolis» rimonta ad III millennio a.C. come documentano ceramiche, strumenti in ossidìana ed una statuetta di dea madre in marmo assegnati al Neolitico recente. La regione venne successivamente occupata da un insediamento nuragico. Verso la prima metà del VI secolo AC deve collocarsi la fondazione, ad opera dei Fenici, di Neapolis. La città fenicio-punica, sovrappostasi al centro indigeno, risulta quasi del tutto sconosciuta nel suo assetto urbanistico, anche se può ipotizzarsi che il circuito murario semicircolare di Neapolis, rivelato dall'aerofotografia, sia quello originario in quanto raffrontabile con esempi cartaginesi. Assai meglio conosciamo i materiali riferibili al centro fenicio-punico, attualmente conservati nei musei di Cagliari e di Oristano. Si tratta di ceramiche fenicio-puniche e d'impostazione (bucchero etrusco, ceramica ionica e attica): scarabei in diaspro verde, monete, terrecotte figurate.
Neapolis in età romana aveva una estensione di circa 34 ettari, compresa entro il circuito delle mura. Lunghe due Km. realizzate in blocchi squadrati di arenarie e calcare. A nord della città può essere seguito per Km 1121 il tracciato della strada romana da TibuIa a Sulci, larga 7 m e tuttora lastricata da grandi basalti. Al centro sono situate le Grandi Terme, riutilizzate nel Medioevo e fino al secolo XVIII come chiesa dedicata alla Vergine (S. Maria de Nabui). La struttura meglio conservata è costituita da un ambiente rettangolare, con volta a botte, dotato di un finestrone, occluso in epoca indeterminata, nella parete di fondo. I muri sono rivestiti da un paramento in mattoni e blocchetti di pietra alternati. Le Piccole Terme situate all'estremità settentrionale dell'abitato sono state messe in luce negli scavi del 1951. Questa costruzione modesta consiste d'un frigidarium ampio (forse anche usato come stanze cambianti) con due vasche semicircolari, raggiunti per mezzo di gradini, per i bagni dell'acqua fredda e cinque più piccole stanze che, essendo riscaldati dall'aria calda che ha fluiva sotto i pavimenti e negli interstizi delle pareti, costituivano gli ambienti caldi. Immediatamente ad est delle piccole terme, sono state poste in luce, parzialmente, alcune case d'abitazione, costruite con pietrame, intervallato da blocchi squadrati in areniana e calcare, cementati da malta di fango e calce. I pavimenti erano costituiti dai fiocchi di pietra e d'un rozzo mosaico bianco. A circa 100 m dalle piccole terme si possono notare le rovine d'una zona monumentale che era forse il forum (tribuna) di Neapolis. In questa costruzione è stato trovato una statua di marmo di Afrodite Urania (I secolo d.C), ora nel museo di Oristano. Il rifornimento idrico di questa città è stato garantito dai pozzi, dalle cisterne che hanno sfruttato le acque d'una falda della montagna del Laus di Biaxi, circa cinque chilometri a sud di Neapolis.
Due costruzioni religiose nella città di Guspini meritano una citazione: San Nicolò e Santa Maria Assunta. La chiesa del San Nicolò, posta in cima di una piccola rampa nel centro della città, ha un prospetto decorato di merli e di un grande rosone che sovrasta il portale .Questo è inquadrato da una cordatura che si conclude al di sopra dell'architrave con un arco a sesto acuto. Ai lati del portale minuscole nicchie accolgono due teste scolpite. A destra si erge il campanile a canna quadrata, sormontato da una cupoletta. L' interno voltato a botte come la capilla mayor, è decorato con affreschi otto-novecenteschi: è a una navata negli intradossi degli archi d'accesso alle cappelle laterali sono poste fasce con formelle decorative a motivi vegetali e animali. Il rilievo, poco accentuato, ricorda le decorazione dei monumenti Bizantini: datandolo dal XVI fino al XVII secolo, questo potrebbe essere una precisa scelta in accordo con la cultura della Controriforma, in considerazione della presenza di figure simboliche numerose quali i pesci ed i serpenti. La ricchezza dell'altare forgiato da marmi del policromi, di stile barocco, sovrastati dalla statua del San Nicolò, è visibile nel presbiterio. In questa chiesa c'è anche un Crocifisso e una croce astile in argento , di gusto gotico, datato nel secolo sedicesimo. Le strutture originali di questa chiesa risalgono al 1500, anche se è stato ristrutturato estesamente almeno fino al 1700. La chiesa di Santa Maria Assunta risale al 1200; gli archi della facciata, a cui ulteriori decorazioni sono state aggiunte nel secolo XVIII e nella data della torretta della frangia dalla struttura originale.
[modifica] Storia
La felice posizione geografica della cittadina e la presenza di vegetazione e sorgenti, nonché le ricchezze del sottosuolo hanno costituito le condizioni ottimali per un insediamento umano già presumibilmente esistente nel periodo neolitico. Fu però in età nuragica che si verificò una maggiore penetrazione umana, attestata nel territorio dai numerosissimi imponenti monumenti: nuraghi, pozzi sacri, monoliti e tombe di giganti che, per la loro concentrazione e particolare posizione, fanno della zona uno dei centri nuragici più interessanti. La colonizzazione romana non mancò di realizzarsi anche in questo territorio in cui sopravvivono tracce di fattorie e mansi e, sulle sponde dello stagno di San Giovanni, resti di edifici della città, già fenicio-punica, di Neapolis. nota anche per le sue acque termali ed il cui porto rappresentava uno sbocco commerciale dei prodotti agricoli e minerari della zona. Il centro abitato di Guspini, chiamato anche Gosphini o Gulsue, sorse però nel Medioevo. Appartenne al giudicato di Arborea come villa della curatoria di Bonorzulì, tranne un breve periodo in cui fu probabilmente soggetto alla giurisdizione del castello di Monte Arcuentu. Dopo il disfacimento del giudicato di Arborea divenne prima feudo dei Carroz e nel 1603 dei Centelles, rispettivamente conti e marchesi di Quirra; fu poi ceduto agli Osorio, Già nel 1131 le miniere argentifere del Guspinese con le altre esistenti nel giudicato d'Arborea, furono concesse ai genovesi che vi effettuarono sondaggi e diedero impulso alla produzione che subì un notevole calo durante la dominazione aragonese e spagnola.
L'attività mineraria rifiorì soltanto con la dominazione sabauda quando, per incentivare la produzione, il Governo affidò lo sfruttamento concessioni generali contro il corrispettivo di 1/5 delle rendite. Sempre nel XVIII secolo la società che gestiva le miniere privilegiando l'attività delle fonderie, diede la in subconcessione le miniere stesse, e Montevecchio concessa ad una compagnia mineraria costituita da minatori che, associatisi ai carradori, crearono la «Compagnia Mineraria». Nel XIX secolo lo Stato riassunse la gestione diretta e nel 1847, per l'incremento della produzione e razionalizzazione dei suoi servizi, assunse la rilevanza internazionale sotto la guida della Società Durand Passadoro e poi della Società Guerrazzi. La produzione piombo-argentifera del Guspinese alimentò la fonderia di San Gavino Monreale sorta appositamente nel contesto di una politica autarchica nazionale, nel 1932. Successivamente il centro minerario fu gestito dalla S.A.M.I. Per secoli dunque l'attività preminente nella zona fu quella estrattiva, affiancata da quella agricola determinò il radicarsi nella popolazione di una coscienza democratico-coaperativistica. Numerose furono infatti le testimonianze della volontà popolare che si affermò con una sempre maggiore incisività, talvolta anche con ripetute azioni di violenza. Già nel XVIII secolo i numerosi braccianti senza terra, guidati da un parroco dallo spirito antifeudale bonificarono la palude di Urradili, ora una de fertili località del Guspinese, e minacciando una rivolta ottennero la proprietà di quelle terre. Un e propria rivolta avvenne nel 1848 contro il sistema metrico decimale adottato nel 1844, contro il prezzo del sale e per l'abolizione delle chiudende. Il tumulto, in cui morì il segretario comunale fu sedato dall'intervento di 60 Franchi cacciatori e si concluse con numerose condanne capitali. Le misere condizioni di vita dei salariati delle miniere suscitarono sempre più frequenti proteste che portarono infine nel 1903 alla formazione di leghe di resistenza. Durante il ventennio fascista numerosi furono gli episodi con i quali la cittadinanza manifestò chiaramente la propria opposizione al regime.
[modifica] Evoluzione demografica
Abitanti censiti
[modifica] Tradizioni Popolari
Le più rilevanti manifestazioni religiose di Guspini sono la Sagra di S. Isidoro a primavera, la festività del San Giorgio in giugno e la sagra di Santa Maria a Ferragosto, quando si celebra anche il Ferragosto Guspinese con un intera settimana di rappresentazioni culturali e ricreative. Altri avvenimenti collettivi sono i riti del carnevale, festeggiato con sfilate di grandi carri e numerosi gruppi in maschera, divenendo cosi un ricco spettacolo di arte e divertimento. Anche la celebrazione del 1 maggio è caratterizzata dalla famosa escursione nella vicina vallata montuosa di "Monti Mariori". A Guspini non è più in uso il costume antico, che è stato riprodotto dopo attenti studi da modelli ereditati. La gastronomia Guspinese si rifà alla cucina dell'area dei Campidanesi, preferendo la confezione di dolci di mandorle (amarèttus e bianchinus) e di altre specialità tradizionali (piricchìttus, pistocchèddus e pistòccus grùssus). I prodotti latterio-caseari sono vari; famosa la salsiccia. Inoltre si possono gustare i piatti tipici nei vari agriturismi collocati nelle periferie del paese. Guspini si distingueva dagli altri paesi soprattutto per un'accurata attenzione degli spazi verdi presenti all'interno del paese: tutte le piazzette erano infatti a tema e rappresentavano delle vere opere d'arte ma attualmente questo patrimonio costruito negli anni dalla banca del tempo locale è andato via via deteriorandosi divenendo uno dei simboli del degrado locale.
[modifica] Cultura
Dal 2000 è attiva a Guspini una banda musicale, ospitata nella scuola locale. La banda effettua concerti ed accompaagnamenti alle processioni nella zona e in tutta la sardegna. Caratteristica del paese è il forte associazionismo che si evince dalle oltre cinquanta asociazioni presenti.
Altra caratteristica culturale è la grande presenza di scrittori fra i quali si segnalano Iride Peis Concas e Tarcisio Agus, autori di diversi libri su Guspini e Montevecchio, Mauro Serra autore di Neapolis fra storia e leggenda, L’invasione delle terre, Tre secoli di scuola e Simona Ruggeri autrice di un testo sulla storia del giornalismo femminile in Sardegna, Nino Cannella autore della monografia "Terzonovecento", degli "Scritti sull'arte" e delle "Opere ritrovate di Giulio Fanari". Da segnalare inoltre il testo di Agnese Caddeo e Lorenzo di Biase "Per non dimenticare...il ghetto di Terezin" e "Ricordi di una vita" di Virgilio Virdis.
Arbus | Barumini | Collinas | Furtei | Genuri | Gesturi | Gonnosfanadiga | Guspini | Las Plassas | Lunamatrona | Pabillonis | Pauli Arbarei | Samassi | San Gavino Monreale | Sanluri | Sardara | Segariu | Serramanna | Serrenti | Setzu | Siddi | Tuili | Turri | Ussaramanna | Villacidro | Villamar | Villanovaforru | Villanovafranca |