Hugo von Hofmannsthal
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Hugo von Hofmannsthal (Vienna, Austria, 1 febbraio 1874 - ivi, 15 luglio 1929) è stato uno scrittore e drammaturgo austriaco.
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[modifica] Biografia
[modifica] Vita
Dopo aver compiuto studi giuridici e successivamente di filologia romanza e filosofia, si dedicò alla poesia e al dramma. Giunse alla notorietà molto presto e altrettanto precocemente, in seguito ad una profonda crisi creativa, si allontanò dalla poesia e dal lirismo delle prime opere per dedicarsi interamente al teatro. Il rischio che aveva intuito era quello di perdersi nell'estetismo fine a sé stesso.
Iniziò quindi una collaborazione con il musicista Richard Strauss, che si protrasse per oltre vent'anni, dando origine a un dramma musicale in cui la parte librettistica assumeva un rilievo letterario di primo piano. Il primo frutto di questa collaborazione fu l'Elettra di cui scrisse il libretto rielaborando un suo scritto precedente, andata in scena il 25 gennaio 1909.
[modifica] Carriera
L'opera di Hofmannsthal è talvolta complessa, densa di simbolismo. Alcune sue creazioni come la Torre o l'Andrea, furono assai sofferte, con continui rifacimenti e ripensamenti. L'opera della maturità, L'uomo difficile, descrive la crisi di un aristocratico, reduce dalla tremenda esperienza della prima guerra mondiale e del tramonto dell'impero Austro-Ungarico, il quale vive "aldilà delle parole" avendo perso qualsiasi fiducia nella possibilità di comunicare, di trasmettere il proprio pensiero agli altri. Egli giudica la sua solitudine indiscutibile.
L'apparente frivolezza della commedia che si conclude con la aperta e quasi "indecente" dichiarazione della bella Hélène, che con la sua audacia lo costringe ad arrendersi al mondo esterno, non deve trarre in inganno. La commedia denota, come tutta l'opera, una profondità inconsueta, di forte influenza freudiana.
Anche le opere saggistiche sono numerose e interessanti, così il carteggio con Richard Strauss che descrive impietosamente le difficoltà di rapporto fra due personalità creative e geniali.
[modifica] Idee
Hofmannsthall fu sostenitore, nel dopoguerra, di uno sforzo culturale che desse all'Europa la possibilità di riappropriarsi della propria identità culturale integrata, uscita frantumata dal conflitto. In quest'ottica promosse il Festival di Salisburgo.
[modifica] Der Brief des Lord Chandos di Hugo von Hofmannsthal (La lettera di Lord Chandos) - Note critiche
Avvertenza: Queste brevi note rappresentano una sintesi di quelle poste dall'Autore (che le concede a Wikipedia) a conclusione della traduzione dal tedesco dallo stesso effettuata (della lettera di Lord Chandos di Hofmannsthal) reperibile a questo sito.
L'Autore si sente di raccomandare agli interessati anzitutto la lettura della lettera di Hofmannsthal. In caso contrario il testo che segue risulterà del tutto incomprensibile.
Der Brief (La lettera) titolo originario della Lettera di Lord Chandos fu pubblicata sul Der Tag di Berlino nell'ottobre del 1902, quando l'Autore aveva 26 anni. È una lettera immaginaria non diretta specificatamente ad alcuno; Hofmannsthal sceglie soltanto una forma di espressione diversa dal racconto e dalla poesia, una forma partecipitiva più intensa perché finge nell'illusione letteraria della creazione epistolare di credere fortemente nell'umana comprensione del proprio stato d'animo, della propria condizione infelice.
Sin dalla sua apparizione essa ha rappresentato il classico sasso nello stagno, la violenta rottura di un'epoca felice che si credeva dovesse durare indefinitamente. Sul territorio europeo, l'unico che allora contava effettivamente, e non solo per cultura, era dal 1870 che non si combattevano più guerre, i litisconsorzi bellici s'erano tacitamente spostati sul suolo africano, ed anche lì un accordo,a volte scritto, a volte tacito, aveva suddiviso le zone d'influenze. La vita scorreva tranquilla lasciandosi alle spalle gli straordinari progressi del XIX secolo e quelli che già si prospettavano nel XX. Nella letteratura non era ancora successo nulla di rilevante. È la lettera di Hofmannsthal che infrange la quiete.
Va sottolineato, e la questione è rilevante e fa parte del dramma, che il protaganista, Lord Chandos, non abbandona affatto l'attività letteraria perché. . . Hofmannsthal continua a scrivere. . .
Il suo è soltanto uno sfogo che fa parte di un momento saliente della sua esistenza, un momento drammatico quanto si vuole ma un momento. Il protagonista ben sa da quel momento in poi scriverà con un diverso sentire e con una diversa ansia, perdendo il semplice mozartiano gusto di scrivere, perdendo per sempre la serenità goethiana: è come se le ansie ed i tormenti interni di un Beethoven fossero entrati nella letteratura. Non si è ancora a Kafka, ma ci siamo vicini ormai.
Ma oltre il continuare a scrivere con questa angoscia interna, credo però ci sia anche qualcosa di più da indagare, un qualcosa che esprima la modernità estrema di Hofmannsthal, un ”quid” aggiuntivo, un plusvalore.
Questo elemento, che non ho trovato sinora per nulla evidenziato, risiede nella necessità d'indagare in cosa effettivamente consista questa angoscia, cosa l'abbia originata, dove siano le sue sorgenti.
Ebbene questo elemento credo si possa individuare nell'estrema rappresentazione che Hofmannsthal ci porge della sensibilità umana (la sua sensibilità!) che assurge, a me sembra per la prima volta, in modo così drammatico nelle tonalità in cui è espressa, a elemento non più positivamente apprezzabile.
La letteratura era tutt'altro che estranea all'introduzione del sensibile nell'elemento letterario: durante tutto l'ottocento lo sviluppo e l'individuazione dei connotati di tale elemento avevano costituito un elemento caratterizzante.
Ma qui l'elemento sensibile diviene altra cosa. Sentire profondamente un amore, mutare il proprio stato per commozione dietro la spinta di profondi sentimenti aveva sempre, sino ad allora, condotto alla positività Adesso per la prima volta la sensibilità diviene un limite, si trasforma per l'essere umano in una prigione dalla quale è impossibile uscire fuori, assurge, in una parola, a elemento negativo.
La sensibilizzazione estrema, l'adeguare il proprio stato d'animo ed i propri sentimenti più profondi a quanto di più nobile e toccante possa esistere nell'universo, a tutto ciò che sia destinato in qualunque modo ad arricchire la mente ed attraverso di essa lo spirito, conduce, come primo, e forse ineluttabile, passo, secondo Hoffmannsthal, al netto rifiuto della banalità quotidiana. Il fastidio per i discorsi vacui e privi di senso della gente comune ed anche, purtroppo, dei nostri familiari, genera l'allontanamento dalla comunità e conduce all'isolamento: l'animo non tollera ulteriormente il pettegolezzo di questo ciarlare che pretenderebbe di assumere cittadinanza.
La crescita spirituale, l'aristocrazia culturale che essa genera, conduce inevitabilmente a recidere i legami nel mondo: siamo entrati in un una sfera superiore. Ma questo finisce anche per essere un limite. Infatti, una volta entrati in questo mondo più nobile, più aristocratico, in questo mondo in cui riteniamo solo due o tre persone ”degne” di colloquiare con noi, e forse nessuna, viene però a mancare il legame, l'afflato vitale che ci ha generato, e ci si richiude in se stessi come Cesare nel proprio mantello sotto le pugnalate di Bruto, di ciò che avevamo comunque generato e che era (ed è) parte logica di noi.
Ed è l'assenza di tale legame, unito ad un forte sentire, che tramuta adesso in angoscia qualsiasi sentimento, che fa sì ora che le parole precipitino le une sulle altre, che l'acqua si ritiri dinanzi alle labbra assetate, che i frutti scattino verso l'alto dinanzi alle mani protese a coglierli. Non riusciamo più ad afferrare l'alimento della vita. La morte stessa si sfalda in una miriade di situazioni che si tinteggiano ognuna di un fosco colore. La scena dei topi che muoiono nella cantina è esemplare da questo punto di vista. Non è soltanto la descrizione dettagliata dei momenti salienti della morte di quegli animali, non `è soltanto la fine di un animo che non reagisce ed è inebetito fissando quelle morti, è in definitiva il fissare, in quelle morti, la propria singola morte quotidiana.
Tanta spiritualità genera alla fine l'assenza di spiritualità. La banalità delle azioni di esseri giudicati poveri di spirito, la banalit`a della vita quotidiana che si rifugge viene poi ricercata dall'occhio fuggevole che cerca al di là di una stretta inferriata un letto ricoperto di poveri stracci in attesa di qualcuno che muoia o nasca, ma ora ci è impossibile riprenderla. Il ripudio è stato definitivo, per sempre.
Se non c'è pietà per la morte dei topi, ma questo non pare sino in fondo credibile, piuttosto si prospetta come una proposizione d'effetto mirante nella sua negatività apparente a celare uno stato d'animo intimo di cui si avverte pudore, c'è vicinanza e simpatia per l'affetto di Crasso verso la sua murena addomesticata, quando si evidenzia che chi ci critica non manifesta, e quindi sembra non avere, alcun sentimento di commozione per le persone più vicine: pare infatti strano provare simpatia per la murena di Crasso, e disprezzo per Domizio, e non un solo sentimento di tenera commozione dinanzi alla morte di innumerevoli topi che stanno morendo, in fondo, per mano tua, per aver tu dato un ordine.
Da queste, come da una moltitudine di altre situazioni consimili, descritte spesso in contrapposizione l'una con l'altra, Hofmannsthal fa derivare il suo panteismo, lo scorgere, meglio, l'intuire, traccia di quel Dasein, di quell'esistenza ovunque distribuita nel mondo spirituale, animale e materiale. La sensibilità si trasmuta quindi nella Vergroeßrungsglas, la lente da ingrandimento che ci permette di scorgere i più minuti particolari: l'occhio, cioè la mente, vede allora, se non tutto, assai di pi`u dei comuni mortali, percepisce molto, avverte molto, ma tale percezione e tale sentire divengono il limite umano ed il principio della sofferenza: l'animo si carica delle pene e degli affanni del mondo. Nel cercare di comprendere ogni cosa ci si smarrisce e ci si perde, l'estrema sensibilità assiste impotente ai giochi dell'essere.
Le parole abbandonano perché c'è la profonda intuizione, assai più di una mera certezza, di essere in un'altra dimensione, di udire un'altra lingua. Prova a spiegarsi con un esempio, quello dei topi avvelenati, ma poi produce tre serie di esempi, questo, quello della murena, e quelle continue citazione di oggetti. Sembra quasi che Hofmannsthal voglia indicare se non il pericolo, almeno il limite della conoscenza!
Giacché è con questa che alla fine la sensibilità estrema, il forte sentire, si confonde in un misterioso quanto nobile intreccio. Il desiderio di conoscere, di sapere, di andare oltre, sentendo il mondo in sé come propria parte è sensibilità, e questa conduce alla conoscenza estrema. L'indagine dei giochi che si consumano alla nostra presenza diviene inutile ed insensata: siamo impossibilitati a parteciparvi.
C'è il rifiuto della filosofia più pura, di quella kantiana cui chiaramente, mi sembra, si riferisca Hofmannsthal quando dice di sentirsi più commosso da un lontano fuoco di pastori che dalla visione del cielo stellato! Eppure dentro di lui c'è, e come!, la legge morale. Ed è forse una legge morale più sublime di quella kantiana perché non cerca le codificazioni in teorie, ma si basa semplicemente sull'osservanza delle piccole azioni del vivere quotidiano.
Il dramma rappresentato da Hofmannsthal è forse questo: la sua germanicità richiede, esige le codificazioni, ma è incapace di scorgerle, anche se le avverte più che le intuisce. Non riesce a ridurre tutto all'uno. Gli sembra sì (e lo ripete più volte) che tutto si riduca all'uno, che tutto esista, ma gli sfugge il nesso: il DNA genetico della creazione gli resta imprescrutabile.
E qui nasce il contrasto ed il dramma. Egli non offre, dacché non le scorge, vie d'uscita. Il contrasto è insanabile: non è possibile che ne fuoriesca in alcun modo la sintesi, si ritira dal mondo e giura di non scrivere più. Hofmannsthal si eprime in continuazione usando il verbo fehlen che indica l'assenza, la mancanza di qualcosa. Egli coniuga questo verbo sempre con un tacito, quanto espresso, senso d'impotenza: mi manca, mi mancava,. . .
E lì si ferma. Ad essere sinceri non sembra che faccia neanche grandi sforzi per andare avanti, in certi momenti pare quasi compiaciuto di tanta impotenza perché lo fa sentire diverso ai suoi simili. In una parola, dall'angoscia, dall'ansia di ricerca non si genera un animo faustiano, ma solo l'accettazione supina delle cose misteriose del mondo.
Qui non c'é il faustismo busoniano del Mir fehlt das letzte Wort (mi manca l'ultima parola), che allo smarrimento fa seguire l'azione, l'ansiosa necessità di una ricerca. Qui manca l'invito a cercare, ad andare avanti, c'è solo sconforto e desolazione. In Hofmannsthal il contrasto, lo ripeto ancora, non trova soluzioni: è il dissidio con sé stesso di un meno che trentenne che non riesce a trovare l'armonia con il mondo, che vuole fare lo scienziato con sé stesso e con il mondo non avendo l'educazione, la capacità e la costanza per farlo perché per quanto proiettato in un'epoca nuova si sente di appartenere al passato: ecco perché la lettera è indirizzata a Francesco Bacone e datata 1603! Hofmannsthal la scrisse nel 1902, mutando di solo una unità l'ultima cifra della data! È come se indicando la data ci volesse dire: guardate, io in fondo io appartengo al passato, a tre secoli fa! Non mi riconosco in quest'epoca!
È il dissidio di un ebreo errante austriaco-lombardo che sente pulsare dentro di sé tutte le vite della diaspora dell'anima sua che gli stanno sulle spalle come un fardello che non accetta. E così, quieto-quieto, si congeda da Francesco Bacone e dal mondo ben sapendo che non manterrà fede alla promessa fatta di non scrivere alcun libro: resterà sì lì ad ascoltare le voci del mondo senza che possa riordinarle, assisterà sì impotente al fatto che il suo sguardo è per sempre, destinato a perdersi sopra le travi marci delle case dei contadini, nella loro camera scura, vedrà sì, ancora, un insetto muoversi da un bordo all'altro di un innaffiatoio, ma queste, e tante altre cose consimili, non saranno un non scrivere: si concretizzeranno in uno stato interno dell'animo, diverso e forse superiore, che esprimerà il proprio drammatico senso e segno d'impotenza.
E questa presa di coscienza d'impotenza, di limitazione del genere umano è l'unica condizione, mi sembra, che Hofmannsthal accetti per continuare a scrivere: ignorando fittizziamente la carta e bruciando le sensazioni dentro il suo animo con l'inchiostro dei suoi pensieri con l'angoscia principe per uno scrittore di non riuscire più a tradurre in parole questo nuove sentire. Quello che manda a Bacone è un ultimo tentativo disperato, in cui non ha fiducia alcuna peraltro, di nuova scrittura. È il tentativo di superare la forma della scrittura, di trasmettere i pensieri più intimi senza esprimerli del tutto,. . . Ma si tratta appunto di una lettera scritta in un linguaggio nuovo che ancora non si conosce. . . e non si domina sino in fondo. .
[modifica] Opere
- L'avventuriero e la cantante (Der Aubenterer und die Sängerin) 1899
- La Lettera di Lord Chandos (Der Brief) (1902)
- Elettra (Elektra) (1904)
- Edipo e la Sfinge (Oedipus und die Sphynx) (1906)
- Il cavaliere della rosa (Der Rosenkavalier) (1911)
- Andrea o i ricongiunti (Andreas oder die Vereinigten) (1913)
- La donna senz'ombra (Die Frau ohne Schatten) (1919)
- L'uomo difficile (Der Schwierige) (1921)
- La torre (Der Turm) (1925)
[modifica] Altri progetti
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