Nicola Bombacci
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Nicola Bombacci (Civitella di Romagna, FC, 24 ottobre 1879 - Dongo, CO, 28 aprile 1945) è stato un uomo politico soprannominato "il comunista in camicia nera".
Come Benito Mussolini iniziò la vita politica nel Partito Socialista Italiano nel 1903, tre anni dopo rispetto al futuro Duce. Bombacci, come Mussolini, si schiera con l'ala più intransigente del partito, che diviene maggioranza dopo il congresso di Reggio Emilia. Furono poi le fasce popolari più scontente che, entrando nel partito socialista e raddoppiando il numero degli iscritti, riuscirono, al congresso di Ancona (1914), a riconfermare questa maggioranza. Addirittura, al congresso socialista del settembre 1918, a Roma, Nicola Bombacci viene eletto segretario del partito. Leadership che gli fu riconfermata nei primi mesi del 1919.
Bombacci non era un semplice tribuno locale, o un folcloristico Lenin della Romagna, ma uno dei capi del socialismo italiano dell'epoca. La sua visione massimalista del socialismo e il suo filo-sovietismo lo portano, lasciata la segreteria socialista al rientro di Lazzari, dopo la detenzione di quest'ultimo, come disfattista, a fondare nel 1921 a Livorno, con altri compagni, il Partito Comunista d'Italia. Già nel 1920 fece parte della prima delegazione parlamentare che si recò, assieme a Serrati, Graziadei, D'Aragona ed altri sindacalisti, in URSS. La sua posizione politica, come quella di Antonio Gramsci e il gruppo "Ordine Nuovo", non traccia confini invalicabili con i futuristi di Marinetti, che appoggiano l'impresa fiumana di Gabriele D'Annunzio.
Tra le due rivoluzioni del secolo sembra esserci, da parte di alcuni esponenti già in odore di eresia, uno scambio di segnali che travalica la dura realtà degli scontri fisici che contraddistinguono la cronaca di quei giorni. Nella carriera politica del deputato comunista Bombacci vi fu poi un grave "incidente". Esso avvenne quando Mussolini, già nominato Capo del Governo, nel suo intervento alla Camera dei Deputati del 16 novembre 1922, pronunciò in quel suo sorprendente discorso, la seguente affermazione: "Per quanto riguarda la Russia, l’Italia ritiene sia giunta l'ora di considerare nella loro attuale realtà, i nostri rapporti con quello Stato, prescindendo dalle condizioni interne nelle quali come governo non voglio entrare".
Così l'Italia, guidata da Benito Mussolini, fu la prima Nazione a riconoscere l'Unione Sovietica, seguendo una linea già abbozzata dall'on. Francesco Saverio Nitti. Bombacci che, come si è detto, era particolarmente vicino ai sovietici, rispose euforicamente al discorso di Mussolini, facendo un paragone fra le due rivoluzioni. Molti fascisti, che vedevano nel comunismo italiano il disfattismo antinazionale, rifiutarono questa interpretazione e altrettanto la ritennero improponibile per diversi motivi i comunisti, e Bombacci, nel 1927, dopo un lungo braccio di ferro con l'Internazionale che ne sosteneva la riabilitazione (Bombacci aveva guidato nel 1924 a Mosca la delegazione dei comunisti italiani ai funerali di Lenin), venne definitivamente espulso dal PCd’I.
Nemmeno Berto Ricci, il fascista "eretico" fondatore della vivacissima rivista "l’Universale", tentò in seguito di recuperare agli ambienti fascisti, sia pure non ufficiali, Bombacci e gli ex-comunisti espulsi con lui dal Partito Comunista. Malgrado ciò Bombacci dal quel lontano 1927, guardò sempre con interesse al fascismo di sinistra, e in quello spirito, Mussolini gli permise la pubblicazione e di una sua rivista mensile di politica, "La Verità", che imitava il titolo della Pravda. Il primo numero uscì nel 1936 con la collaborazione di parte del vecchio mondo socialista, nomi quali Walter Mocchi, Giovanni Renato Bitelli e il sindacalista Alberto Malatesta.
Quello fu anche il periodo in Ivanoe Bonomi progettava la costituzione di una "Associazione Socialista Nazionale" con gli ex deputati Bisogni, D’Aragona, Caldara, disposti a collaborare con il regime. Interessante è uno scritto di Walter Mocchi, pubblicato sulla rivista di Bombacci nel numero del 13 ottobre 1940 (era il momento del breve idillio tra Stalin e Hitler): "eppure giorno verrà, in cui il sovieto, permeandosi di spirito gerarchico e la corporazione di risoluta anima rivoluzionaria, si incontreranno sopra un terreno di redenzione sociale".
Un altro episodio di riconciliazione avviato da Bombacci che è giusto segnalare, fu il suo interessamento verso Gramsci, quando quest'ultimo fu arrestato, sollecitando il Duce a considerarne la malferma salute; il permanere di contatti con il vecchio mondo socialista portò Bombacci a farsi interprete ed intermediario, nel 1934, assieme all’ex-sindaco di Milano Emilio Caldara, nel sollecitare con Nino Levi, un colloquio con Mussolini, per proporre il rientro nei sindacati fascisti, di personaggi come Bentivogli, ex-sindaco di Molinella, Massarenti, Rigola e cautamente Romita. A tale proposito esiste un documento di ambienti socialisti romagnoli (documento citato anche da Renzo De Felice) a favore del fascismo corporativo, considerato "di sinistra" e del suo capo. Molti tentativi rimasero tali, ma è giusto ricordare quanto Bombacci si adoperò, prima dell'ultimo conflitto, a favore di questi socialisti ed ex-comunisti affascinati da Mussolini e contrari all'antifascismo fuoriuscito.
È nell'ottobre 1943, agli albori della RSI, che ritroviamo uno scritto di Bombacci indirizzato a Mussolini, dopo i tragici avvenimenti di quel periodo, che dimostra la lealtà e la profonda dedizione dell'ex-deputato comunista: "Duce, già scrissi in "la Verità" nel novembre scorso — avendo avuto una prima sensazione di ciò che massoneria, plutocrazia e monarchia stavano tramando contro di Voi — sono oggi più di ieri con Voi. Il lurido tradimento del re e di Badoglio, che ha trascinato purtroppo nella rovina e nel disonore l'Italia, vi ha però liberato di tutti i componenti di una destra pluto-monarchica del '22".
Nella RSI evidente fu il ruolo di Bombacci, come trascinatore di folle popolari, per quella legge, senza dubbio la più rivoluzionaria del Fascismo. Si deve anche menzionare che il prof. Sargenti, collaborò alla stesura della legge assieme al Ministro Angelo Tarchi (i 18 punti di Verona). Questa legge dimostra e testimonia il percorso avvenuto nell'animo dell’ex-comunista: la socializzazione è il traguardo del primo come dell'ultimo movimento fascista. Nei vari discorsi pronunciati in tutto il Nord Italia, soprattutto l'ultimo a fine marzo 1945, a Genova, in Piazza De' Ferrari, di fronte a oltre trentamila operai. Vi è tutta la dedizione a Mussolini, e l'entusiasmo per il recupero del Duce alle sue radici socialiste, cosa che permette di capire il comune destino di sangue dell'imminente aprile.
Mussolini lo volle dunque vicino negli ultimi giorni della Repubblica Sociale, perché rivedeva in quella comunanza il ritorno agli ideali sansepolcristi del 1919, la sua volontà di lanciare un tentativo di un radicale rinnovamento delle istituzioni sociali. Esso fu l'attuazione di un progetto già intravisto durante il regime con le riforme popolari del mondo del lavoro e della tutela sociale. È con il fascismo repubblicano della RSI che Bombacci ottiene da Mussolini lo spazio per interpretare, assieme al lui, le linee programmatiche della grande incompiuta riforma socializzatrice.
Catturato dalle forze partigiane e giustiziato, subito dopo il 25 aprile 1945, il suo corpo fu uno di quelli esposti in Piazzale Loreto, al fianco di Benito Mussolini, Claretta Petacci e altri gerarchi fascisti.