Strage del Vajont
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La strage del Vajont (chiamata anche tragedia o disastro del Vajont) avvenne il 9 ottobre 1963 alle ore 22.39. Fu causata da una frana staccatasi dal monte Toc e precipitata nel bacino artificiale creato dalla diga del Vajont, provocando un'onda che scavalcò la diga e travolse distruggendolo il paese di Longarone; 1917 le vittime di cui 1450 a Longarone, 109 a Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 originarie di altri comuni, vengono inoltre danneggiati gli abitati di Codissago, Pirago, Faè e Rivalta.
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[modifica] Il progetto
Il progetto del Vajont viene ideato dalla SADE (Società Adriatica di Elettricità), particolarmente attiva alla fine dell'Ottocento e nella prima metà del Novecento nella distribuzione elettrica (prima della trasformazione dell'ENEL in azienda statale) nel nord-est italiano.
Lo scopo del progetto era quello di creare in mezzo ai monti dolomitici una riserva di acqua che permettesse di sfruttare la potenza idrica per portare energia elettrica a Venezia, anche nei periodi di secca dei fiumi.
La gola del torrente Vajont (che nasce dalle Alpi carniche e si immette nel fiume Piave, costeggiando il Monte Toc, a cavallo della provincia di Belluno e della provincia di Pordenone) sembrava essere il luogo più adatto: lungo il corso del torrente, all'altezza dei paesi di Casso e di Erto(PN), il geologo Giorgio Dal Piaz e il progettista Carlo Semenza individuarono il luogo più adatto per costruire la diga a doppio arco più alta del mondo.
Il progetto iniziale prevedeva una diga a doppio arco alta 202 metri con un invaso di 58,2 milioni di metri cubi. In seguito il progetto fu modificato: la diga avrebbe raggiunto l'altezza di 261,60 metri, con un invaso utile di 152 milioni di metri cubi. L'invaso della diga fu a tutti gli effetti maggiore di quanto previsto da tutti i progetti.
Il progetto ottenne la completa approvazione ministeriale il 17 luglio 1957.
[modifica] La storia
[modifica] Prima del disastro
I lavori progettuali legati alla costruzione del Grande Vajont iniziarono nel 1940, con i primi sopralluoghi di Dal Piaz sul territorio. Qui in rete la cronologia completa del Vajont
Dopo la Seconda guerra mondiale il progetto Vajont, fortemente voluto dalla SADE, inizia a prendere forma e viene quindi presentato per l'approvazione del Genio Civile.
I controlli geologici iniziarono nel 1949 e con essi i primi atti di protesta delle amministrazioni coinvolte dal progetto: la costruzione della diga avrebbe infatti portato gli abitanti dei paesi di Casso e di Erto all'abbandono di abitazioni e di terreni produttivi.
Nonostante le proteste degli abitanti della valle e i forti dubbi degli organi preposti al controllo del progetto, a metà degli anni '50 iniziarono i primi espropri fondiari e la preparazione del cantiere: i lavori per la costruzione della diga iniziarono nel 1956, senza l'effettiva autorizzazione ministeriale.
[modifica] Avanzamento dei lavori
Nel corso dei lavori si dovette procedere ad aggiustamenti non previsti nel progetto originale: furono rilevate frane della roccia su cui poggiavano le spalle e fu reso necessario l'utilizzo di iniezioni di calcestruzzo per il consolidamento dei versanti.
A lavori ormai iniziati si produssero alcune scosse sismiche, la SADE fece pertanto effettuare ulteriori rilievi geologici che rilevarono l'esistenza di una grande paleofrana sul monte Toc; la quale avrebbe potuto cadere nel bacino artificiale formato dalla diga. Nonostante questo, La SADE non inviò mai i rapporti di questi rilievi agli organi di controllo.
I lavori continuarono: il 2 febbraio 1960 si effettuò il primo invaso a quota 600 metri, successivamente la quota fu portata a 650 metri. Il 4 novembre 1960 si produsse la prima frana: 700 mila metri cubi di terra e roccia franarono nel bacino.
Dopo la prima frana fu commissionata all'Istituto di Idraulica e Costruzioni Idrauliche dell'Università di Padova una simulazione di disastro. Lo studio riprodusse in scala una possibile frana di 40 milioni di metri cubi, la dimensione stimata allora della frana, attraverso l'utilizzo di ghiaia. In base a questa simulazione, in seguito al disastro oggetto di critiche poiché considerata da alcuni troppo approssimativa, si determinò che il limite di invaso a quota 700 metri non avrebbe provocato danni.
Dal 1961 al 1963 furono praticati numerosi invasi e svasi per limitare il più possibile le possibilità di smottamento del terreno circostante la diga: il 4 settembre 1963 si arrivò a quota 710. Gli abitanti della zona denunciarono movimenti del terreno e scosse telluriche, inoltre venivano chiaramente uditi boati provenienti dalla montagna.
[modifica] Le proteste degli abitanti della zona
Fin dal primo arrivo della SADE sul Monte Toc gli abitanti della zona reclamarono il loro diritto alla territorialità, lottando contro gli espropri di terreno e denunciando errori nel progetto. Si formarono due comitati (Comitato per la difesa del Comune di Erto e Consorzio Civile per la rinascita della Val Ertana) le cui richieste e denunce non furono mai ascoltate.
Tina Merlin, giornalista de l'Unità, portò più volte sulle pagine del giornale le denunce degli abitanti della zona: fu denunciata (e in seguito assolta) lei stessa per diffamazione e disturbo dell'ordine pubblico.
[modifica] Il disastro
Alle 22:39 del 9 ottobre 1963 si staccò dalla costa del Monte Toc (che in dialetto locale significa "pezzo" mentre "patoc" significa marcio) una frana lunga 2 km di oltre 270 milioni di metri cubi di rocce e terra. La frana arrivò a valle, generando una scossa sismica e riempiendo il bacino artificiale. L'impatto con l'acqua causò due ondate: la prima si schiantò contro la montagna, la seconda (di circa 50 milioni di metri cubi di acqua, di cui 25 milioni scavalcarono la diga) scavalcò la diga precipitando verso la valle e travolgendo Longarone e altri paesi limitrofi, causando la completa distruzione della città e la morte di più di 2000 persone (dati ufficiali parlano di 2018 vittime, ma non è possibile determinare con certezza il numero).
[modifica] Dopo il disastro
Il Ministero dei Lavori Pubblici avviò immediatamente un'inchiesta per individuare le cause della catastrofe.
L'ingegner Pancini - uno degli imputati - si suicida alla vigilia del processo. Il processo inizia nel 1968 e si conclude in Primo Grado l'anno successivo con una condanna a 21 anni di reclusione per tutti gli imputati coinvolti, per disastro colposo ed omicidio plurimo aggravato.
In Appello la pena verrà ridotta e alcuni degli imputati verranno assolti per insufficienza di prove. Nel 1997 la Montedison (che ha acquisito la SADE) verrà condannata a risarcire i comuni colpiti dalla catastrofe.
La comunità riprese subito a ricostruire non solo il tessuto sociale distrutto, ma anche la città: nel 1971 nacque da zero, su progetto dell'architetto Samonà, il comune di Vajont presso Montereale Valcellina, dove alcuni abitanti sfollati insediarono un nuovo centro urbano. Un altro centro chiamato Nuova Erto venne costruito a Ponte nelle Alpi (provincia di Belluno), di cui costituisce un quartiere. Infine, sopra il vecchio abitato originale di Erto venne costruito il paese di Erto attuale.
[modifica] Bibliografia
- Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe., Tina Merlin
- Il racconto del Vajont, Marco Paolini e Gabriele Vacis
- La notte del Vajont: Storie di solidarietà, Franco Cadore
- La storia del Vajont, Edoardo Semenza
- Il grande Vajont, Maurizio Reberschak
- Psicologia dell'emergenza - Il caso Vajont, Comitato Sopravvissuti Vajont
- L'onda lunga. 40 anni di scandali e tragedia, Lucia Vastano
- Vajont senza fine, Mario Passi, 2003, Baldini Castoldi Dalai editore
- Le catastrofi naturali sono prevedibili, Marcel Roubault, 1970, Einaudi
- Vajont, la storia idraulica, Claudio Datei, 2002, La Cortina editrice
[modifica] Filmografia
- Vajont, regia di Renzo Martinelli
[modifica] Teatro
- Vajont, un'orazione civile, di Marco Paolini e Gabriele Vacis