Uomo di Altamura
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Il 7 ottobre 1993 durante alcune attività di ricerca da parte degli speleologi del C.A.R.S. (Centro Altamurano Ricerche Speleologiche) sono stati rinvenuti dei resti fossilizzati e fortemente concrezionati dalla calcite tipica della grotta carsica, corrispondenti allo scheletro intero ed integro di una forma arcaica di Homo Sapiens Neanderthalensis, indicato da allora come Uomo di Altamura (e da alcuni famigliarmente soprannominato Ciccillo). La scoperta è avvenuta nella grotta di Lamalunga in Puglia, che prende il suo nome da una lama, ovvero una valle allungata, delimitata da numerose collinette dall’aspetto tipico della murgia di Altamura in Puglia. Sul versante rivolto alla valle di una di queste collinette, si apre l’accesso che conduce all’interno della grotta a circa 8 meri di profondità. Tutte le grotte di questo tipo manifestano, attraverso aperture (inghiottitoi) in superficie, che possono rimanere pervie o obliterarsi in alternanza di periodi più o meno lunghi, la capacità di raccogliere al loro interno materiali che vengono trasportati dallo scorrimento superficiale delle acque meteoriche. Così si spiega la presenza di numerosi resti (taluni molto voluminosi), di fauna anch’essa molto antica. L’equipe guidata dal Prof. Vittorio Pesce Delfino dell’Università di Bari avanzò, subito dopo la scoperta, la prima proposta di collocazione filetica e la prima stima, su basi esclusivamente morfologiche, del reperto. Una forma arcaica (è questa una terminologia puramente di lavoro), di Homo Sapiens Neanderthalensis (questa è invece una tipica definizione linneana di specie), doveva essere collocata antecedentemente alle forme più antiche di Neanderthal classici e successivamente alle fasi corrispondenti a Homo Erectus, pertanto la stima della datazione, prevedeva un intervallo tra 400.000 e 100.000 anni fa, con valori più probabili intorno a 150-250.000 anni fa. Ma il riferimento ad una forma arcaica di Homo Sapiens Neanderthalensis prevede anche che il reperto debba presentare caratteri morfologici progressivi e quindi richiamanti direttamente caratteristiche tipiche dell’Homo Sapiens Sapiens, cioè dell’uomo moderno. Gli studi successivi, condotti preservando il reperto nel suo sito di ritrovamento, hanno permesso di verificare questo aspetto in quanto a tipici caratteri neanderthaliani (morfologia delle orbite e degli ispessimenti ossei sopraorbitari, assenza di fossa canina e presenza di uno spigolo ben evidente sull’osso mascellare, ispessimento dell’osso occipitale, caratteristica della apofisi mastoide, esistenza di uno spazio retromolare e andamento del margine superiore della branca ascendente della mandibola) si associano caratteri che tipicamente ricorrono in Homo Sapiens Sapiens, tra i quali, in particolare, la convessità della squama dell’osso occipitale. L’interesse del reperto paleoantropologico Uomo di Altamura deriva da numerosi fattori quali la spettacolarità naturalistica dell’intero complesso rappresentato dalle ossa nell’ambiente carsico che le ha concrezionate, saldandole le une alle altre rendendole assolutamente fisse, la completezza dello scheletro, e le caratteristiche morfologiche richiamate. L’intera preesistente conoscenza dei Neanderthal europei, derivava da reperti invero numerosi ma frammentari; per esempio una calotta cranica in Germania, frammenti cranici più o meno voluminosi ma mai completi in Grecia, Italia, Spagna e Francia, costringendo gli antropologi ad uno sforzo non facile per individuare le caratteristiche e le compatibilità delle parti mancanti. Tutto ciò non avviene in Altamura dove i diversi segmenti ossei, tutti perfettamente conservati, permettono di spostare l’esame delle compatibilità morfologiche, da un problema di mera limitata consistenza degli altri reperti, ad un ben più impegnativo problema di interpretazione morfo-funzionale ed evoluzionistica. A fronte di questa situazione ideale il reperto di Lamalunga ha posto formidabili problemi di metodologia di studio e di fruizione a causa della impossibilità della sua rimozione con procedure che possano garantirne il recupero senza danni; a questo scopo è stato realizzato il progetto “Sarastro” impostando l’approccio alla grotta del reperto con la logica del “museo dal campo”, nel quale una infrastruttura tecnologica permette sia la fruizione che lo studio scientifico in modalità remota, lasciando il reperto totalmente indisturbato e protetto nel suo sito di ritrovamento. Recentemente i ricercatori dell’Università di Bari, hanno effettuato riprese con scansione laser del reperto, tuttora conservato nella grotta di Lamalunga, ottenendo quindi mappe numeriche che permettono di effettuare valutazioni sia di carattere dimensionali che della morfologia, utilizzando modelli matematici e procedure anche in grado di ottenere la riproduzione di copie fisiche del giacimento; inoltre contemporaneamente sono state effettuate riprese video tridimensionali. I risultati sono stati presentati al Convegno di Bonn “150 years of Neanderthal discoveries- Early Europeans Continuity and Discontinuità” dove è stato registrato grande interesse con specifiche richieste di successive interazioni sull’argomento, da parte dell’UNESCO, del WENNER GREN FOUNDATION di NEW YORK, dell’AMERICAN MUSEUM OF NATURAL HISTORY di NEW YORK, del THE ABDUS SALAM – INTERNATIONAL CENTRE FOR THEORETICAL PHYSICS di TRIESTE.