Associazione Sportiva Roma/Anni 60
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Pur cominciando nel migliore dei modi, con la vittoria della Coppa delle Fiere, gli anni 60 giallorossi furono un periodo di controtendenza, mentre in Italia esplodeva il boom economico, la Roma si trovava in quegli anni dentro una grave crisi finanziaria, generata da una serie di acquisti sbagliati.
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[modifica] Gli anni '60
Le ultime stagioni del decennio precedente si erano caratterizzate per i continui cambi sulla panchina giallorossa, tra questi ci fu anche il ritorno per la terza volta di Masetti. Dopo tante incertezze ed esoneri finalmente la dirigenza, guidata da Anacleto Gianni che aveva preso il posto di Renato Sacerdoti, puntò su Alfredo Foni che si rese protagonista della scalata verso la conquista del primo ed unico trofeo internazionale di prestigio conquistato dalla Roma:
[modifica] La Coppa delle Fiere
Nel 1960/61 i giallorossi riuscirono a raggiungere una dimensione "europea", grazie alla conquista della Coppa delle Fiere, torneo al quale partecipavano le squadre appartenenti a grandi città ospitanti di fiere internazionali del commercio. Dal 1971/72 questa competizione venne trasformata nell'attuale Coppa Uefa alla quale si partecipa invece per merito, ovvero grazie al piazzamento in campionato.
La Roma di Giacomo Losi conquistò la coppa vincendo contro il Birmingham City. La squadra che disputò le due partite contro la compagine inglese, non era la stessa che aveva partecipato al resto del torneo, poiché le finali della Coppa delle Fiere venivano disputate in autunno dopo la pausa estiva, con le formazioni trasformate dal calciomercato. La Roma nel frattempo aveva cambiato persino l'allenatore all'epoca sedeva in pachina l'argentino Luis Carniglia, dopo le dimissioni di Foni. All'andata in casa degli inglesi lo scontro terminò con un pareggio 2-2 con la doppietta del cannoniere giallorosso "Piedone" Manfredini, poi raggiunta dai due gol inglesi. L'11 ottobre del 1961, nella finale di ritorno la Roma riuscì ad imporsi in casa sulla compagine inglese per 2-0, grazie ad un'autorete e ad un gol del difensore romanista Paolo Pestrin. La partita fu caratterizzata dalla grande irruenza dei giocatori avversari che, dopo aver subito la prima rete, si dimostrarono estremamente fallosi e scorretti tanto da far infuriare l'allenatore giallorosso Luis Carniglia che per poco non venne alle mani contro il tecnico avversario. La Roma è stata l'unica formazione italiana ad aggiudicarsi il trofeo, prima che venisse convertito nell'attuale Coppa UEFA.
[modifica] Un grande potenziale inespresso
Durante gli anni Sessanta, la Roma disponeva di una formazione con un cospicuo numero di campioni: Pedro Manfredini, attaccante argentino, grandissimo rapinatore dell'area di rigore, dotato di una velocità straordinaria, fu tra i protagonisti di quel periodo, ed uno dei cannonieri più prolifici della storia della Roma. Nel 1963 fu capocannoniere del campionato a pari merito con Harald Nielsen del Bologna. Nonostante il grande peso che l'argentino aveva ai fini dei risultati della squadra, siglando anche un gran numero di triplette, Manfredini era sempre al centro di critiche discordanti: era adorato specialmente dal pubblico, ma allo stesso tempo era detestato da parte della stampa e da molti tecnici, tra cui lo stesso allenatore giallorosso Carniglia che riteneva il suo gioco addirittura "dannoso" agli schemi tattici che il tecnico imponeva alla squadra: l'argentino era capace di scomparire per un intera partita, e d'improvviso segnare un gol straordinario, spesso era in grado di stoppare palloni difficilmente intercettabili, altre volte invece sbagliava gol praticamente già fatti, nonostante la sua incostanza era indubbiamente un ottimo giocatore. Un altro giocatore, compatriota del forte centravanti, fu la mezz'ala Francisco Lojacono, giocatore ambidestro dotato di uno straordinario tiro da fuori area, aveva due specialità: i calci di punizione e l'amore per la «Dolce Vita» Romana, per questo fu molto criticato dall'opinione pubblica, insieme a molti altri giocatori giallorossi che in quegli anni spesso venivano accusati di dedicarsi più ai divertimenti e alla vita mondana offerta dalla capitale che agli allenamenti. Oltre a Lojacono un altro giocatore veniva messo sotto accusa per il suo stile di vita: il forte cannoniere oriundo Antonio Valentin Angelillo, mandato via dall'Inter di Herrera, nonostante il gran numero di reti segnate in nerazzurro, per via della sua vita notturna a causa della quale il giocatore si era estraneato dal gruppo. Secondo molti la causa delle altalenanti prestazioni della Roma, che negli anni 60 non riuscì mai a superare il 5° posto in classifica, era da ricondurre proprio allo stile di vita lascivo dei suoi calciatori.
Altri protagonisti importanti dell'epoca furono sicuramente: lo svedese Arne Selmosson e l'uruguagio Juan Alberto Schiaffino. Il primo venne acquistato dalla Lazio, tra la disperazione dei tifosi biancocelesti; seconda punta di gran classe, veniva soprannominato raggio di luna,per via della sua chioma bionda e perché era un giocatore silenzioso, introverso, dotato di una grandissima calma e di un senso tattico straordinario con il quale "illuminava" letteralmente la manovra d'attacco, servendo degli assist precisi che mandavano i centravanti in rete con estrema facilità. Il secondo, giunto alla Roma in età avanzata, venne ingaggiato dal Milan, era una mezzala destra di gran classe e tocchi di prima, dotato di un forte carattere, in partita era l'ultimo ad arrendersi, compagno di nazionale di Ghiggia nell'impresa mondiale del 1950 in Brasile.
[modifica] Acquisti sbagliati
Nel 62-63 il presidente Anacleto Gianni, venne ribattezzato Anacleto V, con lui alla presidenza la squadra era infatti il terzo anno che si classificava quinta. Dopo la vittoria della Coppa delle Fiere, i giallorossi sostituirono Carniglia, allenatore isterico ed ossessionato dai disegni tattici, sulla panchina tornò il più calmo Alfredo Foni, vero autore della conquista europea. Dopo una stagione grigia, dove non aveva brillato un Charles, giunto dalla Juve a fine carriera, nel 1963/64, il neo presidente, subentrato a Gianni, il conte Francesco Marini-Dettina, un gentiluomo addentratosi per la prima volta nel mondo del calcio, per potenziare l'attacco durante la campagna acquisti estiva portò a Roma il tedesco dal carattere timido e riservato Jurgens Shütz, e Angelo Benedicto Sormani, giovane fuoriclasse brasiliano, naturalizzato italiano, che si era messo in evidenza con il Mantova. Questo grande colpo, avrebbe dovuto rappresentare l'elemento decisivo per il definitivo salto di qualità di una squadra che da troppo tempo aveva sete di rivalsa, invece si rivelò una mossa nefasta che portò ad un tracollo finanziaro senza precedenti. Sormani venne pagato infatti mezzo miliardo di lire, una cifra a quel tempo colossale che si rivelò insopportabile per le casse giallorosse, ad aggravare la situazione fu lo stesso giocatore che giocò nettamente al di sotto delle aspettative e delle sue reali capacità tecniche. La stagione fu travagliata, con diversi cambi in panchina, Foni venne sostituito prima provvisoriamente da Naim Krieziu, ex giocatore del primo scudetto giallorosso, ed infine dall'anonimo allenatore spagnolo Luis Mirò, fautore di uno strano modulo: il 4-2-4 "elastico", che secondo il suo pensiero, gli avrebbe permesso di difendersi senza mai rinunciare ad attaccare. L'allenatore venne immediatamente rispedito in Spagna; la squadra, priva di gioco e senza un'anima finì dodicesima. Le uniche note liete arrivarono dai giovani talenti della primavera che si affacciavano sui grandi palcoscenici: i giovani Giancarlo De Sisti ed Alberto Orlando, che furono i capocannonieri giallorossi con sette reti a testa. De Sisti, divenne un grandissimo campione, centrocampista solido e uomo squadra straordinario.
[modifica] La prima Coppa Italia
Nonostante la stagione deludente conclusasi con un dodicesimo posto in classifica, la squadra giallorossa nel 1963/64, conquistò la sua prima Coppa Italia, dopo aver battuto la Fiorentina in semifinale ai rigori, nella finale unica contro il Torino, la partita finì in parità, 0-0 dopo i tempi supplementari. Fu necessaria quindi la ripetizione della gara che si giocò il 1° Novembre dello stesso anno a Torino e si concluse per 1-0 a favore dei capitolini, che si imposero grazie ad un gol liberatorio siglato all'85° dopo una partita tiratissima da Bruno Nicolè, centravanti acquistato durante l'estate dal Mantova.
[modifica] La crisi finanziaria
Nella stagione successiva al suo oneroso acquisto, Sormani venne immediatamente ceduto alla Sampdoria che lo vendette poi al Milan, dove riuscì a ritrovarsi e a tornare il campione che tutti conoscevano prima dell'avvento nella capitale. La Roma si trovava invece sull'orlo del fallimento, il deficit era arrivato ad un tale punto da vedere la società impossibilitata a pagare gli stipendi e con i giocatori che minacciavano di scioperare. Rimase famosa nel novembre del 1964 la colletta che il neo allenatore Juan Carlos Lorenzo, arrivato dalla Lazio, organizzò polemicamente al Teatro Sistina, per raccogliere dei fondi utili per salvare la società dal fallimento. Venne raccolto, dal capitano Losi, che pieno di vergogna con un secchiello passava nella platea del teatro, circa un milione e mezzo; cifra irrisoria rispetto ai reali debiti che gravavano sulla società diretta dal conte Marini-Dettina, fu un episodio squallido, una delle pagine più nere della storia giallorossa. Quel gesto mortificò la squadra che ad ogni partita veniva derisa ed umiliata dal proprio pubblico che in segno di protesta e di scherno lanciava contro i giocatori delle monetine alla fine di ogni partita. La società non perdonò mai lo stravagante allenatore argentino dalla tagliente dialettica, per quella messa in scena che aveva generato una profonda caduta di stile, alla fine della stagione quando la squadra arrivò decima gli venne dato il benservito ed il conte Marini Dettina venne scalzato dall'On.Franco Evangelisti, che faceva gia parte del Consiglio di Amministrazione della società e già da tempo desiderava poter ottenere il comando della società. Cominciava l'opera di risanamento per evitare la bancarotta ed il conseguente fallimento della società.
[modifica] L'era del "Mago di Turi"
Nel 1965/66, venne ingaggiato un nuovo allenatore Oronzo Pugliese, il Mago di Turi, il soprannome se l'era conquistato dopo aver battuto il vero "mago", Helenio Herrera, riuscendo a battere la sua potentissima Inter con il piccolo Foggia. Pugliese era un uomo vulcanico dallo spirito semplice e tenace, famoso per i suoi proverbi che aveva ereditato dalla sua cultura campagnola, la squadra sotto la sua guida acquistò maggiore concretezza e solidità. L'evento chiave della stagione però restò sicuramente le cessioni di Angelillo e quella ancor più clamorosa di Picchio De Sisti, gioiello giallorosso, fulcro del centrocampo, alla Fiorentina per 300 milioni di lire. La cessione del giovane campione fu necessaria per risanare le casse societarie devastate dalla mala gestione degli anni precedenti, la reazione dei tifosi e della stampa locale fu energica. Per cercare di non dare una squadra completamente disastrata al suo nuovo allenatore, Evangelisti portò a Roma in prestito dal Milan Nevio Scala, tenace mediano e lo spagnolo Joaquim Peirò, centravanti prelevato dall'Inter, l'uomo adatto per risollevare il morale di un pubblico sconfortato. Il Mago di Turi, nonostante le previsioni che lo davano spacciato dopo poche giornate di campionato, rimase invece per ben tre anni alla guida della compagine giallorossa. La squadra sotto la guida del tecnico pugliese, conquistò un ottavo, un decimo ed un undicesimo posto, insieme a lui nel 1967/68 se ne andò anche il presidente Evangelisti che l'anno precedente, nel 1967, per completare il piano di risanamento delle casse societarie trasformò la Roma in una Società per azioni.
[modifica] L'arrivo di Helenio Herrera
L'ultima stagione di Pugliese era cominciata molto bene, uscita dalla crisi la Roma poté, durante l'estate del 1967, fare acquisti di primo piano: Fabio Capello, giovane e forte mezz'ala prelevata dalla Spal, Franco Cordova, asso del centrocampo e futura bandiera romanista (sposò addirittura la figlia del presidente che successe ad Evangelisti, l'attrice Simona Marchini), il promettente centravanti Giuliano Taccola ed infine il grande colpo, l'interista Jair, che con i nerazzurri si era fatto apprezzare in tutta la sua classe ed imprevedibilità. Dopo otto giornate la squadra era imbattuta, prima in classifica, ma la sfida persa in casa contro l'Inter per 2-6 fece crollare le illusioni. La dura sconfitta convinse nell'estate del 1968 il presidente Evangelisti a compiere l'ultimo colpo prima dell'addio alla presidenza: l'ingaggio del "Mago" Helenio Herrera. La società intanto passò prima provvisoriamente all'Avv. Franco Ranucci e successivamente all'imprenditore Alvaro Marchini, cinico e sobrio uomo d'affari della capitale. Il nuovo allenatore che aveva portato l'Inter sul tetto del mondo, portò una rivoluzione all'interno dello spogliatoio: in difesa vennero ingaggiati due giovani e prestanti giocatori: Aldo Bet e Sergio Santarini, provenienti dalla squadra nerazzurra. Il secondo, solido e composto difensore, riminese di nascita, prese il testimone lasciato da Giacomo Losi che proprio in quella stagione concluse la sua carriera da calciatore. Santarini fu un degno erede del suo predecessore, collezionò infatti con la maglia della Roma 344 presenze in tredici stagioni, secondo solo al suo predecessore che rimase in giallorosso per quindici anni. Per l'attacco il mago volle Fausto Landini, un altro giovane promettente dotato di una forte prestanza fisica, da tipico centravanti. Landini insieme con il centrocampista Fabio Capello e Luciano Spinosi, giovane terzino proveniente dal vivaio e lanciato da Herrera, rappresentavano i "gioielli" della squadra giallorossa, tre giovani campioni sui quali poter puntare per la costruzione della squadra del futuro. Il nuovo presidente, Marchini, non andò mai d'accordo con l'allenatore argentino, ingaggiato dal suo predecessore, la squadra inoltre stentava a decollare, nonostante la squadra avesse tante giovani promesse, non riuscì mai a riproporre lo stesso gioco della formazione nerazzurra precedentemente allenata, con la quale la Roma condivideva solo l'utilizzo delle famose maglie bianche, utilizzate sia in casa che in trasferta, che secondo Herrera davano ai giocatori una miglior visione di gioco in campo, erano secondo lui uno dei segreti del Real Madrid.
[modifica] La tragica morte di Taccola
Ad aggravare ancor più il rapporto tra il patron giallorosso e il tecnico contribuì pesantemente uno dei più tragici episodi della storia della Roma, nel quale venne coinvolto il promettente centravanti Giuliano Taccola. Taccola, venticinquenne attaccante pisano, era stato acquistato nella stagione precedente dal Genoa, sotto la guida di Pugliese si era messo in evidenza diventando il capocannoniere della squadra con 10 reti. Il 16 marzo del 1969 la squadra era impegnata contro il Cagliari fuori casa, Taccola, che aveva già segnato 7 reti in 12 gare di campionato, venne colto da un malore all'interno degli spogliatoi e nel giro di pochi minuti entrò in coma e morì improvvisamente. Le cause della morte del calciatore rimasero avvolte nel mistero, il ragazzo nel corso della stagione aveva sofferto di continue febbri, causate da un'infezione della quale i medici non sapevano dare alcuna spiegazione chiara. Nonostante il precario stato di salute del giocatore, Herrera continuava ad utilizzarlo poiché lo riteneva indispensabile ai fini del gioco della squadra che senza di lui faticava ad andare a segno. Dopo la morte del giovane, l'allenatore argentino si dimostrò fortemente insensibile, pare che subito dopo l'incontro nel quale Taccola perse la vita, in una telefonato con il presidente Marchini, Herrera si mise a discutere dell'incontro disputato dalla Roma, non curandosi minimamente della tragica vicenda, questo fu la causa scatenante dei primi dissapori tra i due personaggi.
[modifica] La seconda Coppa Italia
Superato il trauma per la morte di Taccola, che si fece sentire anche sul campo con una serie di risultati negativi e con un grigio ottavo posto, la Roma trovò la forza per vincere la sua seconda Coppa Italia, imprezosita dalla vittoria iniziale del derby contro la Lazio, con lo spagnolo Peirò protagonista indiscusso del torneo, con 6 reti segnate. Nel girone finale nel quale erano coinvolte il Foggia, il Torino ed il Cagliari, la Roma non perse una partita finendo prima e vincendo così la Coppa nel giugno del 1969.
[modifica] Voci correlate
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