Duomo di Siena
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Il Duomo di Siena è la cattedrale in stile romanico-gotico della città toscana. È una delle chiese più splendide costruite in questo stile.
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[modifica] La storia
Nel luogo dove sorge la cattedrale, sarebbe sorto il castrum romano (Siena nacque come colonia capitolina).
Ancora nel medioevo il toponimo era Piano Sancte Mariae e in questo luogo, tra l'attuale costruzione e la piazza che la circonda su due lati, sono stati effettuati degli scavi che hanno suffragato l'ipotesi di uno sviluppo dell'area in periodo longobardo e franco. Si parla di un accastellamento con quattro torri, di cui una sarebbe diventata la torre campanaria attuale. Questo edificio sarebbe stato fino al 913 la residenza del Vescovo ed avrebbe contenuto una chiesa rivolta verso est, cioè verso l'attuale Battistero. Nel secolo XII questa chiesa fu inglobata nella costruzione romanica che andava diventando la cattedrale, con la facciata rivolta a sud, cioè verso l'attuale "Facciatone", la facciata incompiuta del "duomo nuovo" (vedi sotto).
È tradizione, suffragata anche da deduzioni storiche, che il Duomo sia stato consacrato il 18 novembre 1179. Ci sono però opinioni contrastanti e notizie storiche che smentiscono questa datazione. Infatti, solo nel XIII secolo (1229) il Duomo sarebbe stato trasformato in basilica, con la facciata rivolta ad ovest, verso l'ospedale di Santa Maria della Scala. I lavori vennero terminati solo alla fine del secolo successivo.
La cupola fu completata nel 1263 e il Rosso padellaio vi appose la "mela". L'attuale sistemazione dell'apice della cupola stessa è del 1667.
L'"Operaio del Duomo" che sovrintendeva all'amministrazione dei lavori era sempre scelto tra i canonici ma, dal 1258 agli inizi del Trecento, fu scelto tra i monaci dell'Abbazia circestense di San Galgano. Questi si erano segnalati come abili amministratori, tanto che lo stesso Comune di Siena gli aveva affidato gli uffici di Gabella e di Biccherna (gli uffici "entrate" e "uscite" della Repubblica di Siena).
Furono i monaci a chiamare Nicola Pisano e suo figlio Giovanni per i lavori. Giovanni lavorò alla facciata in quel periodo, utilizzando nella parte inferiore i rivestimenti marmorei che vediamo ancora oggi. Nicola creò il pulpito, terminato nel 1268. La figura (forse derivata da Cimabue) del cristo in croce, con le gambe avvitate, i piedi sovrapposti e trapassati da un unico chiodo e le braccia "ad ipsilon" è diventata un classico dell'iconografia. Sembra anche essere stata copiata da parte degli artisti che realizzarono gli affreschi scoperti di recente nella cripta sottostante il Duomo.
Nel 1313 viene terminato il campanile, alto circa 77 metri. Nel 1316 l'edificio venne ampliato sotto la direzione di Camaino di Crescentino, padre dello scultore Tino di Camaino.
Con Siena al massimo del suo splendore, dovette sembrare che il duomo fosse comunque troppo piccolo per la città. Si pensò quindi di ampliarlo in modo tale che l'attuale navata centrale diventasse solo il transetto e la facciata tornasse ad essere orientata a sud, in posizione molto più avanzata rispetto all'antico edificio. Il progetto fu affidato a Lando di Pietro (o "Lando di Piero") dopo la delibera del Consiglio Generale della Campana del 23 agosto 1339. I lavori passarono in seguito sotto la supervisione dello scultore ed architetto Giovanni di Agostino.
A causa della peste del 1348 e di alcuni crolli strutturali, nel giugno del 1357 si decise di interrompere i lavori, lasciando nell'attuale piazza Iacopo della Quercia i segni del fallimento: basamenti per le colonne e incastonamenti di queste nell'edificio dell'attuale Museo dell'Opera Metropolitana del Duomo, oltre alla facciata incompiuta (il "facciatone") dal quale possiamo oggi godere di un panorama sulla città di incomparabile fascino.
Dopo qualche anno, si affidano di nuovo i lavori al capomastro Domenico di Agostino, fratello di Giovannni, morto nel 1366. Nel 1376, la costruzione della parte superiore della facciata viene affidata a Giovanni di Cecco (detto "Giovannino della Pietra"). Nel 1382 vengono alzate le volte della navata centrale e quest'anno può essere considerato quello di completamento del Duomo.
L'interno, di grandiose proporzioni, è a croce latina, con tre vaste navate. Il pavimento è a commessi marmorei, opera unica nella storia dell'arte. La navata centrale è sormontata da un davanzale sovrastante i busti dei papi (incluso quello della Papessa Giovanna).
Il transetto, a doppia navata, ha crociera esagonale ed è coperto dalla cupola a base dodecagonale, ornata da sei grandi statue dorate di santi. Il tutto è sovrastato da una galleria cieca a colonnette ornata di figure di patriarchi e profeti a chiaroscuro.
[modifica] Le opere d'arte
[modifica] La cappella della Madonna del voto
[modifica] Il pulpito di Nicola Pisano
Il pulpito del Duomo di Siena è stato realizzato da Nicola Pisano in un periodo compreso tra il 1266 e il 1269. Presenta una pianta ottagonale e una struttura architettonica mossa e articolata con rilievi vari e articolati e figurine marmoree al posto delle colonne ai vertici. Scene rappresentate:
- Virtù, Madonna con Bambini (figure sopra i capitelli)
- Natività (dalle linee molto morbide)
- Crocefissione (molto drammatica - intervento di Arnolfo di Cambio
- Strage degli Innocenti (attribuita al figlio Giovanni Pisano)
- Giudizio finale (attribuita al figlio Giovanni Pisano)
[modifica] Il pavimento
Di seguito la descrizione di alcune immagini del pavimento del duomo di Siena:
Nell'antichità classica, la Sibilla era una vergine dotata di virtù profetiche in quanto ispirata da un dio, di solito Apollo. Le sibille, legate in origine a riti ispirati ad Orfeo e Dioniso, fornivano, di solito, responsi oscuri.
Vivevano in grotte o nei pressi dei corsi d’acqua e predicevano in stato d’inconsapevole frenesia.
Le sibille sono 17, tutte appartenenti ad epoche mitiche e sono divise in tre gruppi: ioniche, italiche ed orientali.
Sibilla Delfica (ionica)
Delfi deve essersi subito presentata alla mente dei primi studiosi come uno dei luoghi d’origine delle profezie sulla redenzione del mondo. E’ considerata la prima tra le sibille.
Nel pavimento è rappresentata come una donna solenne che tiene con la sinistra un corno decorato dal quale escono fiamme. La sua mano destra è appoggiata su una targa da una sfinge alata. (IPSUM TUUM COGNOSCE DEUM QUI DEI FILIUS EST << conosci il tuo stesso Dio, che è il Figlio di Dio >>) Sotto i suoi piedi, un cartiglio ne riporta il nome ed il fatto che sia menzionata da Crisippo. La figura fu realizzata nel 1482 da Giuliano di Biagio e Vito di Marco.
Sibilla Cumea (…)
La ragione del suo nome non è chiara che lo porta ad essere spesso confusa con la Sibilla Cumana. Qui è rappresentata come una donna dall’aspetto agitato, con i capelli sciolti e sparsi sulle spalle. Tiene in mano un cartiglio.
(ET MORTIS FATUM FINIET, TRIUM DIERUM SOMNO SUSCEPTO TUNC AMORTUIS REGRESSUS INLUCEM VENIET PRIMUM RESURRECTIONIS INITIUM OSTENDENS << egli porterà a termine il destino di morte dopo un sonno di tre giorni. Poi, di ritorno dai morti, verrà alla luce mostrando per la prima volta l’inizio della Resurrezione >>).
Si dice che questo disegno sia opera di Luigi di Ruggiero.
Sibilla Cumana (italica)
Questa sibilla è famosa per essere stata visitata da Enea. Su di lei sono accumulate infinite leggende e la sua presenza è legata a luoghi di Napoli e dintorni.
Si dice che sia vissuta un migliaio d’anni fa e che fosse l’unica profetessa che offrì i Libri Sibillini a Tarquinio. Appare come un’anziana donna, di una certa severità, con un velo che le cinge il capo. Con la mano destra regge il ramo di vischio della narrazione Virgiliana, e con la sinistra stringe a sé tre libri. Altri sei, quelli distrutti nella leggenda di Tarquinio, bruciano impilati sul terreno alla sua destra; sopra la sua spalla sinistra due cherubini in volo sostengono una tabella.
(ULTIMA CUMAEI VENIT IAM CARMINIS AETAS MAGUNUS ABINTEGRO SAECLORUM NASCITUR ORDO IAM RE DIT ET VIRGO, REDEUNT SATURNIA REGNA, IAM NOVA PROGENIES CAELO DEMITTITUR ALTO << È ora sopraggiunto l’ultimo periodo del carme cumano, un grande ordine delle età è rinato, ora ritorna la Vergine; ritornano i regni di Saturno. Ora una nuova progenie è inviata dall’alto del cielo >>).
Questa figura è opera di Giovanni di maestro Stefano di Giovanni e dei suoi allievi e fu da lui eseguita nel 1482.
Sibilla Eritrea (ionica)
Questa sibilla si dice nativa d’Eritre, nella Triade (da qui il suo nome). Altri scrittori le attribuiscono il nome d’Erofile. Visse scrivendo della sibilla delfica. Lattanzio le attribuisce il famoso acrostico che annuncia la venuta di Cristo, riportato nei Libri Sibillini.
Qui la si dipinge come un’alta signora patrizia, dal contegno piuttosto severo e con un copricapo molto curioso che le fascia parzialmente il viso. La mano destra tiene un volume chiuso, mentre la sinistra si appoggia ad un libro aperto, sostenuto da un leggio intagliato. Sulle pagine di questo libro è riportata una frase.
(DE EXCELSO CAELORUM HA BITACULO PRO SPEXIT DOMINUS HUMILES SUOS ET NASCITUR IN DIEBUS NO VISSIMIS DE VIRGINE HABRAEA IN CUNABULIS TERRAE << dall’eccelsa dimora del cielo Dio ha volto lo sguardo sui suoi umili servi; nascerà negli ultimissimi giorni da una Vergine ebrea nella culla della terra >>)
Sibilla Persica (orientale)
La tradizione l’ha chiamata anche figlia di Beroso e di Noè, creando così confusione con quella Cumana; talvolta le viene, invece, dato il nome di Sabbe o di Sambetha.
La profezia attribuitagli è la sola che non tratti della nascita o della redenzione del Cristo. È rappresentata come una piacevole donna di mezza età, con la testa avvolta in un semplice velo. Nella mano sinistra tiene un libro e con la destra indirizza l’attenzione verso una tabella appoggiata su un piedistallo intagliato.
(PANIBUS SOLUM QUINQUE ET PISCIBUS DUOBUS HOMINUM MILLIA IN FOENO QUINQUE SATIABIT RELIQUIAS TOLLENS XII COPHINOS IMPLEBIT IN SPEM MULTORUM << con cinque pani e due pesci soddisferà la fame di cinquemila uomini sull’erba. Raccogliendo gli avanzi riempirà dodici ceste per la speranza di molti >>).
Sotto i suoi piedi, una tabella c’informa che è Nicarone a dare testimonianza di lei. Urbano di Pietro da Cortona, Antonio Federighi, Vito di Marco e Luigi Ruggiero ricevettero l’incarico di eseguire queste sibille nel 1481.
Sibilla Samia (…)
Non sappiamo nulla di questa sibilla; possiamo solo rilevare che fece di Samo la sua principale dimora, sebbene nata nella Triade. Ci viene detto dalla tabella posta sotto la sua immagine che ha darci conto di lei fu Eratostene.
Fu ideata da Matteo di Giovanni Batoli, disegnatori e valente artista. Come una principessa slanciata, con i drappeggi svolazzanti, regge nella mano sinistra un volume aperto, dalla ricca legatura. Un tratto curioso e caratteristico del lavoro di Matteo emerge evidente nella graziosa testa di cherubino ad ali spiegate che chiude una cintura attorno alla sua veste sotto i fianchi. Accanto a lei c’è una tabella, sorretta da due figure dalla testa leonina.
(TU ENIM STULTA IUDAEA DEUM TUUM NON COGNOVISTI LUCENTEM MORTALIUM MENTIBUS SED ET SPINIS CORONASTI ORRIDUM QUE FEL MISCUISTI << poiché tu, stolta giudea, non hai riconosciuto il tuo Dio, risplendente nelle menti degli uomini. Ma lo hai coronato di spine e hai versato per lui del fiele amarissimo).
Ai piedi dell’iscrizione c’è la firma dell’artista con la data del 1483.
Sibilla Frigia (ionica) Neppure di questa sibilla sappiamo nulla, sennonché anch’essa e stata confusa con la sibilla delfica.
Dalla tabella che lo accompagna apprendiamo che essa profetizzava ad Ancira. Si presenta ai nostri occhi vestita nel modo che possiamo supporre l’artista intendesse per abbigliamento frigio o semiorientale. Con la mano sinistra tiene sollevato un libretto aperto. (SOLUS DEUS SUM ET NON EST DEUS ALIUS << io sono il solo Dio e non c’è un altro Dio >>) La sua destra indirizza l’attenzione verso una targa sorretta da due supporti a forma di lira, tra i quali appaiono torsi e teste di figure nude supplicanti, che sembrano emergere dalla tomba. (TUBA DE CAELO VOCEM LUCTUOSAM EMITET TARTAREUM CHAOS OSTENDET DEHIS CENS TERRA VENIET AD TRIBUNAL DEI REGES OMNES DEUS IPSE IUDICANS PIOS SIMUL ET IMPIOS TUNC DENUM IM PIOS IN IGNEM ET TENEBRAS MITTET QUI AUTEM PIETATEM TENET ITERU VIVENT << la tromba emetterà dal cielo un suono funereo. La terra aprendosi farà scorgere il caos tartareo. Tutti i re compariranno innanzi al tribunale di Dio. Dio stesso giudicando contemporaneamente i pii e gli empi, solo allora getterà gli empi nel fuoco delle tenebre. Coloro che invece conserveranno la rettitudine, vivranno di nuovo >>).
Si ritiene che questo riquadro sia stato ideato ed eseguito da Luigi di Ruggiero e Vito di Marco, ma nulla è certo.
Sibilla Ellespontica (ionica)
L’iscrizione sotto i piedi di questa sibilla dice che essa nacque sul suolo troiano e che fu, secondo alcuni, contemporanea di Ciro. La figura è aggraziata, ma dà l’idea di proporzioni in qualche modo gigantesche. I capelli, coronati da un diadema di gioielli, le cadono liberi sulle spalle, anche se parzialmente ripartiti da nastri. Con la mano sinistra sostiene un libro semiaperto. La sua veste è appena trattenuta alla vita da una piccola cintura arricchita di gemme.
Alla sua sinistra, appoggiata su due colonne, vi è una targa di fronte alla quale siedono un lupo e un leone che si danno amichevolmente la zampa: si tratta forse di un’allusione al trattato tra Siena e Firenze.
(IN CIBUM FEL IN SITIM ACETUM DEDERUNT HANC IN HOSPITALITATIS MOSTRABUNT MENSAM; TEMPLI VERO SCINDETUR VELUM ET MEDIO DIE NOX ERIT TENEBROSA TRIBUS HORIS << gli dettero fiele per cibo e aceto per la sua sete; gli mostreranno questa mensa d’inospitalità. In verità il velo del Tempio si squarcerà e nel mezzo del giorno vi sarà notte buia per tre ore >>).
Questo disegno fu opera di Neroccio di Bartolomeo di Benedetto Landi nel 1483.
Sibilla Libica (italica)
La sibilla libica è la più antica di tutte le sibille e sembra essere figlia di Zeus e Lamia.
Il suo volto, il collo, le mani e i piedi di marmo nero producono un effetto notevole. Il capo è velato e coronato da una ghirlanda di fiori. Ha nella mano sinistra un cartiglio srotolato, e tiene in mostra con la destra un libro aperto.
(COLAPHOS ACCIPENS TACEBIT DABIT IN VERBERA INNOCENS DORSUM << prendendo a schiaffi tacerà. Offrirà ai colpi la schiena innocente >>).
Alla sua sinistra c’è una targa sostenuta da serpenti attorcigliati.
(IN MANUS INIQUAS VENIET. DABUNT DEO ALAPAS MANIBUS IN CESTIS. MISERABILIS ET IGNOMINIOSUS. MISERABILIBUS SPEM PRAEBEBIT. << verrà tra mani ingiuste. Con mani impure daranno frustate a Dio. Miserabile e ignominioso infonderà speranza al miserabile >>).
Guidoccio Cozzarelli fu l’autore di questo disegno nel 1483.
Il Sacrificio di Iefte
La parte più ampia della composizione è occupata dalla battaglia e dalla vittoria. Sulla sinistra Iefte con il suo destriero, vestito come un imperatore romano, impartisce ordini ai suoi uomini. Vicino a lui notiamo un elegante abbinamento di due giovani uomini in conversazione.
Al di sopra, sullo sfondo, si vede la figlia di Iefte uscire dalle porte della città con una folla gioiosa di fanciulle per salutare il padre vittorioso, mentre ancora più lontano in alto sull’angolo sinistro, possiamo vedere l’infelice padre in un piccolo tempio nell’atto di sacrificare la figlia, in adempimento al suo voto.
L’artista era Bastiano di Francesco di Sano, il quale appare come disegnatore ed esecutore. L’opera sembra che sia stata iniziata tra [[1481[]] e il 1482 e terminata solo nel 1484-1485.
È da ricordare che fino al 1661 questa sezione del pavimento rimaneva davanti alla porta del Perdono.
La strage degli innocenti
Nel periodo della “costruzione” di questa parte del pavimento, l’Italia era sconvolta dall’orrore per il terribile sacco e la distruzione d’Otranto. Molte persone furono massacrate e che la maggior parte dei bambini furono venduti come schiavi.
Lo sgomento fu tanto che il papa Sisto IV richiamò l’attenzione delle città sul disastro, mise in evidenza che nessuna di esse fosse al sicuro e le implorò di mettere da parte le loro contese politiche per unirsi nella causa della reciproca difesa contro i Musulmani.
Erode sta seduto su uno splendido trono rinascimentale di marmo scolpito, sotto un colonnato decorato con rappresentazioni di scene classiche. Un fregio è inserito lungo la parte alta della composizione, interrotto da aperture circolari attraverso le quali gruppi di bambini guardano con aria di compiacenza e di divertimento il massacro sotto di loro. L’opera è del 1481.
Mosè
La storia è narrata in sei parti, integrate in una grande scena. In alto al centro, Mosè è inginocchiato sulla cima del monte; è inondato dalla luce e riceve le Tavole della Legge nelle sue mani tese. In basso al centro, alza le Tavole sopra la sua testa per mandarle in frantumi sul terreno. Nell’angolo superiore sinistro, gli Anziani d’Israele stanno cercando di persuadere Aronne a forgiare il vitello d’oro; in quello inferiore lo vediamo fondere nel fuoco oro e gioielli per plasmarlo. Nell’angolo inferiore destro, gli Israeliti stanno adorando il vitello, mentre in alto sono punti con la peste e muoiono tra gli spasimi.
Mosè colpisce la roccia
Questa è la più gradevole e meglio opera riuscita tra quelle di Beccafumi. Fu eseguita nel 1525.
Queste scene destarono la più esorbitante ammirazione e l’onore degli scrittori del XVII, XVIII e inizi del XIX secolo.
Ermete Trismegisto
La prima cosa che cade sotto i nostri occhi, è un’inscrizione: ”CASTISSIMUM VIRGINIS TEMPLUS CASTE MEMENTO INGREDI”. Sopra di essa appare la figura di un uomo, presumibilmente un saggio orientale raffigurato nell’atto di offrire ad altri due uomini con la mano destra un libro, mentre con la sinistra si appoggia ad una citazione scritta su una lapide sostenuta da due sfingi alate. La figura principale rappresenta Ermete Trismegisto, il quale fu contemporaneo di Mosè. I due uomini potrebbero essere forse le tipizzazioni dei saggi d’Oriente e d’Occidente. Poiché alla sua leggendaria paternità è attribuito un vasto numero d’opere che trattano d’antica sapienza e di credi religiosi così come molti trattati sul cerimoniale ecclesiastico, la sua collocazione all’ingresso di questo magnifico tempio non manca di una caratteristica suggestione. Questo disegno fu posto qui nel 1488.
Re David Salmista
Re David sta seduto sul trono con una specie di cetra sulle ginocchia, mentre con la mano destra indica un libro di Salmi aperto, appoggiato su un leggio. Gli stanno attorno quattro cortigiani muniti di un primitivo strumento musicale. Ai lati della figura centrale, si trovano due figure isolate: da una parte il giovane David in atto di scagliare il sasso e dall’altra il gigante Golia che cade all’indietro. È curioso il fatto che Golia presenti un buco sulla fronte, benché la pietra non lo abbia ancora raggiunto e che quest’ultima si trovi allo stesso tempo sia nella fionda di David sia sospesa davanti a Golia.
Il sacrificio d’Abramo
Tutta la storia è raccontata in diverse parti della scena, culminanti nel gruppo centrale del sacrificio stesso. A destra dell’altare:
- Eliseo che resuscita il figlio della Sunamita.
- Un profeta con un libro aperto davanti.
- Eva in ginocchio.
- Una donna che tiene in mano un libro aperto.
- Un’altra donna con uno specchio in mano che rappresenta la prudenza.
- Il sacrificio di Melchisedech.
- Una donna seduta con un bambino.
A sinistra:
- Il vecchio Tobia con il figlio Tobiolo e l’arcangelo Raffaele; ai loro piedi un cane.
- Una donna che rappresenta la Carità.
- Adamo inginocchiato.
- Un profeta che guarda attentamente il cielo.
- Un’altra donna seduta che tiene in mano un libro.
- Il sacrificio d’Abele.
- Un’altra donna seduta con un bambino.
Tutto attorno a questi corre una gran processione composta d’uomini e donne d’ogni età che rappresentano i figli d’Israele in cerca della terra promessa.
Dio vuole mettere alla prova Abramo, e per fare ciò gli ordina di prendere il suo unico figlio, Isacco, e di dirigersi verso il monte Moria.
Quando tutto è pronto per il sacrificio, l’angelo del Signore interviene per fermare Abramo che scorge lì vicino un montone impigliato in un cespuglio. Sarà la bestia ad essere sacrificata al posto d’Isacco. L’episodio si conclude con il rinnovamento della promessa fatta ad Abramo di moltiplicare la sua discendenza come le stelle del cielo e la rena sulla spiaggia del mare.
[modifica] La Libreria Piccolomini
La Libreria Piccolomini fu fatta costruire nel 1492 dall'Arcivescovo di Siena, Cardinale Francesco Piccolomini Todeschini (poi Papa Pio III) per custodire il ricchissimo patrimonio librario raccolto dallo zio Papa Pio II.
Si trova lungo la navata sinistra, prima del transetto, e venne ricavata da alcuni ambienti della canonica. Non ospitò mai i libri per la quale era stata creata. Venne affrescata dal Pinturicchio ma solo dopo la morte di Papa Pio III. Gli affreschi descrivono avvenimenti della vita di Papa Pio II. Contiene numerosi pregevoli antifonari miniati e il gruppo marmoreo delle Tre grazie.
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