Sadhu
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Gli induisti considerano che l'obiettivo della vita sia la moksha, la liberazione dall'illusione (mâyâ), la fine del ciclo delle reincarnazioni e la dissoluzione nel divino, la fusione con la coscienza cosmica. Tale obiettivo è raggiunto raramente nel corso della vita presente.
Il sâdhu (dal sanscrito साधु sādhu, «uomo di bene, sant'uomo») sceglie, per accelerare questo processo e realizzarlo in questa vita, di vivere una vita di santità. I sâdhu sono presenti in India da migliaia di anni, forse dalla preistoria in cui il loro ruolo sarebbe stato simile a quello degli sciamano. Nel V secolo a.C. il Buddha si unisce a loro per un certo tempo, durante la sua ricerca dell'illuminazione, si tratta dei gimnosofi, i filosofi nudi che i greci di Alessandro Magno incrociano penetrando nel mondo indiano. Sembra che il loro numero sia fortemente aumentato nel XIII secolo.
Si considera generalmente che essi formino lo 0,5 % della popolazione indiana, cioè quattro-cinque milioni di persone.
I sâdhu sono dei rinuncianti, troncano ogni legame con la loro famiglia, non possiedono nulla o poche cose, si vestono con un longhi, una tunica, di color zafferano per gli shivaiti, gialla o bianca per i Viṣṇuiti, che simbolizza la santità, e talvolta con qualche collana, non possiedono nulla e passano la loro vita a spostarsi sulle strade dell'India e del Nepal, nutrendosi dei doni dei devoti.
Nella loro ricerca dell'assoluto, i sâdhu praticano dei tapas, recitazione di mantras, rituali magici, controllo del respiro, yoga unificando il corpo e l'anima, astinenza sessuale, voto di silenzio, meditazione o mortificazioni, quelle mortificazioni che Buddha rifiuterà come illusorie per definire la sua vita terrena. La pratica dei tapas tende ad aumentare la loro energia spirituale permettendogli di raggiungere uno stato di semi-divinità. Essendo l'energia sessuale une fonte primaria di tale energia spirituale, l'astinenza permette di aumentarla.
Tra di essi un gran numero consuma ritualmente dell'hashish, come Śiva è solito fare, per strappare il velo della maya, cosa che è tollerata dallo Stato indiano che cependant proibisce tale uso nella sua legge. Altri cependant rifiutano tale consumo che giudicano in contrapposizione ai loro ideali.
I sâdhu shivaïti cospargono il loro corpo con la cenere, simbolo di morte e di rinascita. ad immagine e somiglianza di Śiva, portano i capelli estremamente lunghi.
La devozione dei sâdhu a Śiva o a Viṣṇu si riconosce dai segni tradizionali che portano sulla propria fronte e talvolta dal colore dei loro vestiti. In occasione del loro arrivo al Kumbhamelâ si creano numerosi problemi , dato che ciascuno di loro pretende di raggiungere per primo le acque sante.
Accanto al desiderio di ricerca spirituale, le ragioni primarie che spingono a scegliere la vita di sâdhu possono essere molto diverse: sfuggire dalla propria casta, poiché i santi uomini non le riconoscono, scappare da una situazione familiare insostenibile, da una situazione economica disperata, ma anche, per una donna, dalla vedovanza, per cui esiste un numero ben minore (10 % della popolazione sâdhu), dei sâdhu donna o sâdhvi (साध्वी sādhvī). E' la ragione per cui, si incontrano poche sâdhvi di giovane età, contrariamente agli chela maschi, gli allievi dei sâdhu, che possono essere ragazzi giovanissimi.
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[modifica] Le più importanti sette di Sadhu
[modifica] I Naga Baba
I Naga (che significa «nudo») Baba formano una setta shivaïta di guerrieri asceti. La loro esistenza è probabilmente molto antica e, contrariamente agli altri sâdhu, essi sono vendicativi, organizzati in sette akhara, vale a dire in reggimenti e entrano facilmente in conflitto con le altre sette. Si contrappongono anche militarmente ai musulmani ed agli Inglesi. Si ornano spesso di armi, ora piuttosto simboliche, come le spade, i bastoni, le lance e soprattutto il tridente, simbolo di Śiva.
Come indica il loro nome, si spogliano spesso di ogni abito, come i monaci jaina dîgambara, che però sono non-violenti. Sono specialisti nella mortificazione del loro pene, con cui sollevano dei massi molto pesanti, allo scopo di desensibilizzarlo, pratica attestata dall'abate Dubois, uno dei primi indianisti.
[modifica] I Gorakhnathi
I Gorakhnathi o Nath babas seguono gli insegnamenti tantrici del fondatore della loro setta Gorakhnath (forse intorno all'anno mille), che essi considerano come un'incarnazione di Śiva e che è l'autore originale del primo trattato, ora perduto, di Hatha Yoga. Si suppone che la loro setta sia antica come il mondo e che Brahma, Viṣṇu e Śiva furono i primi discepoli di Gorakhnath subito dopo la creazione. I Gorakhnathi portano il kundala, un anello all'orecchio, che viene forato nel corso di una cerimonia fortemente ritualizzata. Essi pregano anche Hanuman e Dattatreya. Il loro centro principale è Gorakhpur nell'Uttar Pradesh.
[modifica] Gli Udasin
Gli asceti Udasin o figli di Nanak non sono né adepti di Śiva, né di origine induista poiché appartengono alla religione Sikh. La setta è stata fondata da Shrichandra il figlio del Guru Nanak, il fondatore del Sikhismo e i suoi membri lo venerano così come il panchayatana, un gruppo di 5 divinità: Śiva, Viṣṇu, Surya, Durga e Ganesh da quando si sono rivolti verso l'induismo quando il secondo guru sikh li ha scomunicati. In caso di conflitto tra sette, si schierano al fianco degli shivaïti.
[modifica] I Ramanandi
I Ramanandi formano una setta creata in seguito agli insegnamenti del filosofo Ramananda (XV secolo. Sono chiamati anche Vairâgî, quelli che sono indifferenti al mondo, e Avadhûta, quelli che hanno rinunciato a tutto. Praticano la bhakti di Râma e Sita.
[modifica] Gli Aghori
Gli Aghori formano la più estrema delle sette di sâdhu, fondata da Kina Ram, un asceta del XVIII secolo. Ricercano l'illuminazione seguendo, tra i comportamenti di Śiva, quelli che sono considerati come i più fuori dalla norma. Abbastanza poco numerosi ai giorni nostri, una ventina che vivono a Vârânasî vicino alla tomba del loro guru, sembra siano stati più numerosi in passato, probabilmente 200-300 alla fine del XIX secolo.
Contrariamente agli altri asceti, e anche alla grande maggioranza degli indù, non sono vegetariani e consumano alcool. Come Śiva, vivono nei campi di cremazione, vivono nudi o coperti da un semplice panno di lino. Gli si attribuiscono delle abitudini di impurità assoluta, come il consumo di carne in decomposizione, dei loro escrementi e della loro urina, la meditazione seduti su un cadavere, l' unione sessuale con delle prostitute nel corso del periodo mestruale. In quest'ultimo caso, si tratterebbe di un rito tantrico attraverso il quale essi si incarnerebbero con la loro partner in Śiva e Kâlî. In effetti, gli Aghori pensano che gli estremi siano identici e che la distinzione tradizionale indù tra puro e impuro sia solo il risultato di mâyâ, l'illusione da cui si vogliono liberare.
Amano circondarsi di simboli di morte, in particolare di crani umani che utilizzano sia come recipienti per bere che come strumenti rituali.
[modifica] Voci correlate
- baul
- Kumbhamelâ
[modifica] Collegamenti esterni
- (EN) (NL) Il sito dell'autore di un libro sui sâdhu (in inglese e olandese)
- (FR) I sâdhu sul sito pondichery.com (in francese)
- (IT) [1] sito italiano sugli aghori, corso di yoga gratis, tantra, libri sacri e tanto altro