Teoria perturbativa
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I sistemi fisici che si possono risolvere completamente sono molto pochi, per cui risulta necessario trovare delle tecniche di calcolo che consentano di avvicinarsi quantomeno ad una soluzione che descriva la natura nel modo più corretto possibile. Per ovviare, quindi, alle difficoltà di comprensione, si è sviluppata una teoria perturbativa o delle perturbazioni. Si tratta, cioè, il potenziale che lega un sistema di particelle tra loro come se fosse una perturbazione rispetto all'hamiltoniana libera, applicando, così, tutte le approssimazioni utili per risolvere il sistema.
Indice |
[modifica] Applicazioni
La teoria perturbativa è, come facilmente intuibile, un metodo di calcolo estremamente importante nella fisica moderna in quanto consente di descrivere i sistemi fisici quantistici reali, la cui quasi totalità è descritta da equazioni differenziali altrimenti difficilmente risolvibili in maniera esatta. Il metodo si basa sull'introduzione, nell'hamiltoniana, di una perturbazione, ovvero un potenziale così piccolo da giustificare uno sviluppo in serie di potenze.
Ad esempio, mentre si riescono a risolvere in maniera esatta sistemi ideali come l'atomo di idrogeno, l'oscillatore armonico quantistico e la particella in una scatola, aggiungendo un potenziale elettrico perturbativo all'hamiltoniana di un atomo di idrogeno si ottengono delle piccolissime variazioni nelle linee spettrali dell'idrogeno causate proprio dal potenziale perturbativo: questo effetto va sotto il nome di effetto Stark lineare.
Le soluzioni prodotte dalla teoria perturbativa non sono, però, esatte, anche se sono estremamente accurate. Tipicamente i risultati sono espressi in termini di serie di potenze infinite che convergono rapidamente alla soluzione esatta man mano che ci si ferma nello sviluppo ad un ordine sempre più alto. Nella QED, dove l'interazione tra elettrone e fotone è trattata perturbativamente, il calcolo del momento magnetico dell'elettrone è stato determinato con un accordo con il dato sperimentale fino all'11.ma cifra decimale. In QED e in altre teorie di campo quantistiche, speciali tecniche di calcolo note come diagrammi di Feynman sono utilizzate per sommare i termini delle serie di potenze.
In certe condizioni, la teoria perturbativa non può essere utilizzata; questo perché il sistema che si vuole descrivere non può essere descritto con l'introduzione di una perturbazione in una situazione ideale libera. In QCD, ad esempio, l'interazione tra i quark ed il campo gluonico non può essere trattata perturbativamente a bassa energia a causa del fatto che essa diventa troppo grande. La teoria perturbativa, inoltre, non va bene per descrivere stati che non sono generati con continuità, incluse le condizioni al contorno e i fenomeni collettivi noti come solitoni.
Altri sistemi che, comunque, possono essere trattati con la teoria perturbativa sono:
- Struttura fine dell'atomo di idrogeno
- Effetto Zeeman
- Limite di Paschen-Back
Inoltre, con le tecniche di simulazione moderne, si è in grado di applicare la teoria perturbativa a molti sistemi sempre più complicati, ottenendo delle buone soluzioni numeriche.
A fianco della teoria perturbativa indipendente dal tempo, oggetto di questo articolo, c'è anche la teoria perturbativa dipendente dal tempo, nella quale si considerano sia potenziale sia, soprattutto, soluzioni dipendenti dal tempo.
Esistono, infine, altri metodi per ottenere soluzioni approssimate del problema agli autovalori per una data hamiltoniana tra i quali i più importanti sono:
- metodo variazionale
- approssimazione WKB
[modifica] Il sistema libero
Prima di entrare nel dettaglio del metodo perturbativo, è necessario esaminare il caso di un sistema libero; sia cioè:
dove {|n0>} è un sistema di autostati ortonormale e completo, ovvero vale l'identità:
A questo punto, supponiamo di inserire un potenziale nel sistema. Si possono studiare, quindi, due casi differenti: il primo a spettro non degenere, ovvero per ogni autostato c'è uno e un solo autovalore, il secondo a spettro degenere, ovvero esiste un insieme di autostati con il medesimo autovalore.
[modifica] Spettro non degenere
Innanzitutto bisogna introdurre il potenziale, e supporre che questo sia una semplice perturbazione rispetto allo stato libero:
con λ un reale positivo compreso tra 0 e 1.
Il problema degli autovalori diventa quindi:
Introducendo la quantità Δn = En-En(0), si ottiene:
che opportunamente riscritta diventa:
A questo punto si pone il problema dell'invertibilità dell'operatore
Il suo inverso avrà problemi di singolarità solo agendo sul suo autostato |n0>, mentre
non presenta componenti lungo |n0>, in quanto appartenente ad uno spazio ortogonale a quello di |n0>; formalmente questo fatto può essere espresso introducendo l'operatore Φn, che è un proiettore sullo spazio ortogonale ad |n0>:
Con l'introduzione del proiettore, l'autostato diventa quindi:
dove è stato aggiunto il ket |n0> perché, se λ tende a zero, l'autostato dell'hamiltoniana perturbata deve tendere all'autostato libero. Ovviamente |n> andrà normalizzato.
A questo punto è necessario calcolare la distanza (spostamento) tra lo stato imperturbato e quello perturbato. Innazitutto si vede che:
Poiché stiamo introducendo una perturbazione, il fattore λ sarà piccolo (prossimo allo zero) e quindi Δn può essere espresso anche in una serie di potenze di λ:
Allo stesso modo per l'auto-ket:
e finalmente si può scrivere:
e confrontando gli n ordini simili, si ottegono n relazioni, una per ciascun ordine:
Posto
Le variazioni agli ordini successivi consentono di scrivere sia lo spostamento in energia tra i livelli, sia l'auto-ket
A questo punto, ponendo che Vii = 0 e Vij ≠ 0 e ordinando i livelli in modo tale che Ei(0) > Ej(0), si ottiene che lo spostamento i-esimo è positivo e quello j-esimo negativo: quindi i livelli tendono ad allontanarsi.
Infine, nel caso dello stato fondamentale n, si può notare che la sua energia si abbassa sempre:
[modifica] Spettro degenere
Lo spettro degenere è proprio di un sistema fisico in cui ad un valore dell'energia corrispondono più autovettori, ovvero un auto-spazio di dimensione superiore a 1:
con {|m(0)>} il sistema di autovettori con autovalore ED(0).
In questo caso la procedura poc'anzi descritta perde la sua validità e non riesce a descrivere correttamente il sistema, anche se è più che altro un problema di definizioni.
Si supponga che Vm m' = 0, con
A questo punto si passa dalla base {|m(0)>} a quella {|l(0)>}, tale che:
Quindi, affinché la prima condizione sia valida, deve verificarsi che:
Inserendo la completezza nel termine di destra si ottiene alla fine:
- Vm m' lm' = λl lm
La perturbazione sarà rappresentabile da una matrice diagonale, quindi in caso di degenerazione ci si può limitare a studiare il comportamento per un multipletto degenere: si costruisce la matrice Vm m', la si diagonalizza e si trovano gli autostati corrispondenti. Questi saranno una nuova base per rappresentare V, che sarà così una matrice diagonale con gli autovalori λ1, ..., λg come elementi della diagonale, e saranno anche il rango minimo per la Δl.
A questo punto si potrà procedere come nel caso non degenere, utilizzando l'accortezza di sommare sui k che non appartengono alla degenerazione ED(0).