Gazzetta del Popolo
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La Gazzetta del Popolo è stata un quotidiano fondato a Torino il 16 giugno 1848. Ha cessato le pubblicazioni il 31 dicembre 1983, dopo 135 anni.
Alla sua nascita, come quotidiano di piccolo formato, era uno dei fogli più economici del Piemonte: costava appena 5 centesimi la copia, mentre l'abbonamento annuo ammontava a 12 lire. Si trattava di una precisa scelta dei fondatori, il letterato Felice Govean e i medici Alessandro Borella e Giovan Battista Bottero; quest’ultimo ne fu il primo direttore. L'intento era quello di fornire un prodotto con le premesse per la più larga diffusione possibile presso la piccola e piccolissima borghesia istruita: una intelligente e spregiudicata operazione di mercato, sostenuta, oltre che dal prezzo, dai contenuti vivaci, chiari, immediati. Il successo fu notevole e gli abbonati salirono ben presto a 14.000.
Di indirizzo liberale, monarchico e anticlericale, appoggiò la politica di Cavour e il programma di unificazione d'Italia. In seguito il giornale fu oppositore del governo giolittiano e sostenne l'intervento nel primo conflitto mondiale.
Nel 1945, dopo la Liberazione, assunse il titolo di Gazzetta d'Italia, per ritornare poi a quello originario.
Negli anni del dopoguerra, gestita dalla Democrazia Cristiana, ma con redattori tutt'altro che allineati ai voleri dell'Editore, la Gazzetta visse un periodo di buona espansione, fino a quando la competizione con "La Stampa" di proprietà Fiat, non ne compromise il volume di vendite e quindi gli introiti anche pubblicitari.
Alla fine degli anni Sessanta e nei primi Settanta la redazione, che Fortebraccio, polemista dell'Unità definì "forse in segreto filocomunista" per rimarcarne la scarsa docilità verso la DC, nonostante la guida di Giorgio Vecchiato, fu protagonista di alcune battaglie (per i tempi d'avanguardia) rimaste famose come quelle contro il lavoro minorile, le baronie mediche ed i rischi mortali dei lavoratori in fabbrica.
Nell'estate del 1974, in seguito alla chiusura decisa dall'editore Alberto Caprotti, si costituì una Cooperativa di giornalisti che per 14 mesi resse le sorti della testata, assieme ai lavoratori poligrafici, in forma autogestita sotto la guida di Claudio Donat-Cattin, figlio dell'allora Ministro. In quel periodo anche i giornalisti scesero per le strade a vendere, come strilloni, il giornale per il quale, con i colleghi poligrafici (uno dei quali ci rimise la vita, per lo stress e il superlavoro) si battevano.
Nell'ottobre del 1975 il quotidiano fu rilevato dalla società Editor, facente capo all'editore milanese Lodovico Bevilacqua e in molti si illusero che finalmente fosse finito il calvario. Ma Bevilacqua si rivelò un bluff e negli ultimi mesi del 1980 le sorti del giornale andarono però compromettendosi, con un passivo sempre più pesante. Si decise di trasformare il formato del quotidiano in tabloid, con un forte calo nelle vendite.
Nel marzo 1981, un esposto presentato dal sindacato dei poligrafici all'Inps denunciò il mancato versamento dei contributi previdenziali trattenuti ai dipendenti. Una decisione che spinse l'Ente a chiedere il fallimento della Editor, deciso dal Tribunale il 9 luglio 1981. Il giornale continuò a uscire in gestione provvisoria sino al successivo 2 agosto, ma quel giorno i giudici imposero ai giornalisti di sospendere definitivamente le pubblicazioni. Nel settembre 1982 il quotidiano riprese ancora le pubblicazioni presso lo stabilimento dell'editore Caprotti in via Villar, dove si stampava anche «Tuttosport». Dopo 15 mesi di una gestione piuttosto confusa, il 31 dicembre 1983 cessò definitivamente le pubblicazioni.
La proprietà della testata, dopo vari passaggi, è ora nella mani dell'impreditore e politico piemontese Vito Bonsignore
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