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Dark Side of the Moon - Wikipedia

Dark Side of the Moon

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

The Dark Side of the Moon (Il lato oscuro della Luna) è un album dei Pink Floyd, pubblicato nel 1973 dalla EMI. Fu registrato negli studi di Londra della stessa EMI tra il giugno 1972 e il febbraio 1973.

The Dark Side of the Moon
Artista Pink Floyd
Tipo album Studio
Pubblicazione 24 marzo 1973
Durata 42 54
Dischi 1
Tracce 10
Genere Progressive Rock
Etichetta EMI
Produttore Pink Floyd
Registrazione Abbey Road Studios, Londra tra il giugno 1972 e il febbraio 1973
Note Rimasterizzato in SACD nel 2003 da James Guthrie
Premi
Dischi di platino
Dischi d'oro
Pink Floyd - cronologia
Album precedente
Obscured by clouds (1972)
Album successivo
Wish you were here (1975)
Si invita a seguire lo schema del Progetto Musica


Indice

[modifica] Il disco

The Dark Side Of The Moon è uno degli album più venduti nella storia della musica moderna: a trentatré anni di distanza dalla sua uscita ufficiale, infatti, ha venduto oltre quaranta milioni di copie ed è rimasto per 724 settimane nella classifica Billboard 200 della omonima rivista musicale americana, classifica dalla quale uscì negli anni ’80 solo perché una nuova politica di gestione delle chart sopraggiunta nel frattempo, escludeva dalla classifica i lavori pubblicati da più di dieci anni.

L’uso di tecniche di registrazione avanzate ed effetti sonori di forte impatto ne fecero un’opera affatto diversa dalle precedenti produzioni del gruppo, e in assoluto innovativa nell’ambito della musica pop. Seppur non molto apprezzato dagli stessi Pink Floyd, fu certamente essenziale il lavoro di ingegneria musicale di Alan Parsons, il “mago del suono”, che seppe dare a questa registrazione sonorità per quei tempi inarrivabili.

Sebbene l’utilizzo di sonorità eterodosse non fosse una novità per le precedenti produzioni dei Pink Floyd, in The Dark Side of the Moon esse acquisirono un ruolo di importanza pari a quello della struttura musicale dell’opera; per inciso, quella sarà la strada che il gruppo inglese perseguirà da quel punto in avanti nel corso della sua carriera, fino ad arrivare a The Wall (1979), nel quale le sonorità eterodosse diventeranno l’asse portante dell’album.

[modifica] Innovazioni

Prima dell'uscita dell'album in questione le produzioni dei Pink Floyd si potevano suddividere in due tipologie:

  1. Complesse suite di stampo strumentale come Astronomy Domine o Interstellar Overdrive ancora del periodo barrettiano (vedi Syd Barrett) per poi passare a quelle di Waters come Atom Heart Mother ed Echoes.
  2. Brani prettamente lirici destinati ad esaltare i testi.

[modifica] La copertina

La copertina dell’album (Un prisma triangolare che rifrange un fascio di luce) è una della più famose e riprodotte in assoluto. È divenuta una sorta di oggetto di culto e fu realizzata dallo staff di Storm Thorgerson, designer della Hipgnosis, studio cui sono legate alcune delle più belle copertine dell'epoca. I Pink Floyd la scelsero tra vari progetti proposti dallo studio grafico, in ragione della semplicità e linearità del tratto.
Sebbene famosissima e riprodotta, va detto tuttavia che il prisma raffigurato presenta due errori, uno di grafica e l’altro di concetto: l’errore grafico è la mancanza del violetto nello spettro di diffrazione; l’errore di concetto è l’entrata nel prisma capovolto dello spettro diffratto che restituisce in uscita un raggio bianco unico (è fisicamente impossibile), Ma l’effetto è comunque suggestivo, e comunque rispondeva a esigenze grafiche (effetto di continuità del raggio nella parte interna della copertina), non di correttezza scientifica.

[modifica] I temi dell'album

Orologi confusi e smarriti inseguono un battito cardiaco ossessivo. Una voce adulta ma non troppo sicura ricorda "Sono stato matto per tanti fottutissimi anni…". Gli intrecci sonori iniziano a plasmarsi e ad irrigidirsi. L'intensità aumenta. Il magma musicale diventa sempre più incontrollabile fino a quando urla disperate lo fanno scivolare e adagiare nelle acque delicate di “Breathe”. Così inizia uno dei dischi più importanti, più venduti, più controversi e ragionati della cinquantenaria storia della Rock.

I Pink Floyd gettarono le prime basi musicali e concettuali dell’album già durante il tour che seguì la pubblicazione di “Atom heart mother” (Harvest, EMI 1970). Roger Waters, il bassista/cantante che da questo momento prenderà definitivamente in mano il timone del gruppo, decise di valicare le barriere dietro cui i Pink Floyd si erano assestati dal 1967 proponendo agli altri componenti l’idea del “concept album”. Il tema portante sul quale si sarebbe dovuto poggiare il nuovo lavoro della band avrebbe dovuto riguardare la labilità della coscienza umana e la sua incapacità nel far fronte alle sempre più incombenti minacce della follia. La vita, secondo Waters, veniva consumata cercando di allontanare gli spettri della follia che in un attimo di disattenzione avrebbero potuto infestare l’uomo stesso. Di qui gli altri concetti che fungono da rami a questo troncone centrale: l’aggressività, l’avidità, il successo, la paranoia, l’empatia, l’ossessione e la morte. Come disse lo stesso Waters qualche anno più tardi: “’Dark side of the moon’ era un’espressione di carattere politico, filosofico e umanitario che doveva essere comunicata”.

Il bassista del gruppo britannico prese carta e penna e, per la prima volta dal '67, scrisse tutti i testi del disco. I contenuti scelti da Waters erano di portata universale, per tanto egli si impegnò a rendere più facile e diretta la veicolazione del suo messaggio attraverso frasi prive di particolari ornamenti linguistici e/o ragionamenti basati su indecifrabili passaggi metaforici. Il successo del disco, la sua longevità e tutti i fiumi di inchiostro che ha fatto gettare dall’uscita (24-03-1973) fino a oggi, sono dovuti alla perfetta combinazione tra questi tre fattori: l’immortalità dei temi trattati, la “pratica democratica” attraverso cui vengono illustrati e infine l’osmosi tra suoni e parole. “Sono sempre stato folle, so di esserlo stato, come la maggior parte di noi… è molto difficile spiegare perché sei folle, anche se non lo sei…”. Il preludio porta il nome di “Speak to me” e porta la firma di Nick Mason. Non bisogna sottovalutare la portata di questo pezzo dato che riassume bene il tema dell’album. L’impalcatura è stata costruita dal batterista dentro lo studio 3 di Abbey Road]. Mason (con l’aiuto di Waters) intervistò personalità eccentriche (dai roadies della band ai coniugi McCartney, le cui risposte tuttavia non furono utilizzate) con domande del tipo: “Sei pazzo?”, “Hai mai colpito qualcuno?”, “Hai Paura della morte?”, “Quando è stata l’ultima volta che sei stato violento?”, “Avevi Ragione?” ecc. Roger “The Hat” si distinse dagli altri per la sua bizzaria e infatti le sue risposte compaiono in molte parti del disco (“Speak to me”, “The Great gig in the sky” e “Us and them”). Mason vincerà un premio speciale come compositore del brano “Breathe”, la prima vera e propria canzone dell'album.
Le linee melodiche sono delicate e gli intrecci vocali di Gilmour (che registrò entrambe le voci), ammoniscono: “Per quanto tu viva a lungo e voli in alto… I sorrisi che donerai e le lacrime che piangerai… e tutto ciò che tocchi e che vedi… È tutto quel che la tua vita sarà.” Questo flusso lento che ci accompagna per mano durante i 3 minuti di “Breathe” sconfina in un claustrofobico vortice sonoro: “On the run”. Un pezzo concepito (nella sua versione più conosciuta) da Waters e Gilmour negli studi di Abbey Road. Lo scheletro è costituito da 8 note suonate al Synth EA e velocizzate col pitch; la “carne” invece da battiti cardiaci, passi di persona, respiri affannati, urla, aeroplani, veicoli del futuro e quant’altro. Questo pezzo all’inizio si intitolava “The Travel Section”; quando i Pink Floyd nel 1972 suonavano live una prima versione dell'album, dal nome: “Eclipse: a piece for assorted lunatics” (L’album fu suonato per la prima volta il 17 febbraio 1972 al Rainbow Theatre di Londra). Originariamente era un brano improvvisato dalla band, ma poi, con l’arrivò del Synthi A (VCS3) prese una forma molto diversa.
La fretta, la paura e l’ansia sono molto palpabili in questo brano, si arriva così all’incidente aereo in cui gli unici sopravvissuti sembrerebbero essere degli scomposti orologi. Il contemporaneo squillare e trillare di questi ultimi danno il via a uno dei pezzi più celebri di questo Lp e dell’ intera produzione floydiana: “Time”. Gilmour inizia a definire un suo stile personale (con delle radici solide nel terreno del blues ma attento al rock di fine anni '60 inizio '70).
È senz’altro uno degli assolo più coinvolgenti ed ascoltati di sempre. “Time” dà voce ai temi portanti del disco: il tempo e la morte. Se prima con “On the run” erano impliciti (per via dell’ansia e della paura di volare) qui vengono evidenziati nelle liriche di Waters “[…] E corri veloce cercando di raggiungere il sole, ma sta calando, Correndo in tondo per rispuntare ancora dietro di te, Il sole è lo stesso, in termini relativi, ma tu sei più vecchio, col respiro più corto e di un giorno più vicino alla morte”. Ripreso il tema di “Breathe”, si attenuano i battiti del cuore e dal tramonto echeggiano le note di pianoforte che introducono “The Great gig in the sky”. Forse questo è il miglior brano del disco, senz’altro l’episodio più anomalo. Il merito è da spartirsi tra le melodie di Wright (ottenute grazie a leggeri giri di piano ed Hammond) e la ottima prestazione canora di Clare Torry, una corista amica di Alan Parson (il produttore ed ingegnere del disco che, per "Dark Side", riceverà un Grammy). La sua voce è struggente, sì da far rabbrividire l’ascoltatore. Il tastierista dei Pink Floyd ricorda: “Volevamo che qualcuno improvissasse su questo pezzo. Le dammo indicazioni tipo: pensa alla morte o altro di macabro e canta. Se mi ricordo bene entrò in studio di registrazione e dopo poco aveva finito. Uscì e si scusò, disse che era imbarazzata”. Il filo che collega questo pezzo a “Time” è la morte. Infatti sugli iniziali fragili tessuti sonori di Wright e Gilmour (con il suo Steel Guitar) alcune voci cadenzano: “Non sono spaventato dalla morte… in qualsiasi momento mi accada, non mi preoccupa. Perché dovrei essere spaventato dalla morte?” oppure “Non c’è ragione di essere spaventati, dobbiamo andarcene prima o poi” ed anche un tocco di paranoia con “Non ho mai detto che ero spaventato dalla morte”. Con le atmosfere di “Great gig in the sky” si conclude la prima facciata dell’LP.


Quale è la cosa che più di tutti può distruggere ogni moralismo? Che più di tutte può portare l’uomo alla competizione e alla follia? Il denaro, fin troppo semplice. Con “Money” viene aperta la seconda parte dell'album, quella più legata alla psicolabilità dell’uomo.

Come dicevamo sopra l’avidità è uno dei pilastri su cui si regge “Dark side of the moon”. Le righe scritte da Waters per “il pezzo in 7/8 più famoso di tutti i tempi”, sono forti e molto politiche. Il leader della band mette a nudo i suoi ideali socialisti in queste liriche, tuttavia non ne fa una battaglia di partito, trascendendo con intelligenza i suoi steccati, criticando il sistema nella sua integrità: “Denaro, è un crimine… Dividetelo equamente ma non toccate la mia fetta”. “Money” si rivelò (paradossalmente) profetica dato che grazie al lavoro di Bhasker Manon (l’agente della Capital Records che si impegnò a pubblicizzare il disco in territorio statunitense) il brano divenne un hit single negli USA e portò tanti soldi nelle casse dei Pink Floyd, ma non solo, come ricorda Gilmour: “Lo fai per raggiungere il successo. Per diventare ricco e famoso e ancor di più… e se raggiungi quello, pensi: Ma come? E adesso?” Si era aperta di fatto una crisi identitaria e una frattura all’interno del gruppo. Improvvisamente i componenti erano diventati dei milionari e dovevano gestire quei soldi. Waters ricorderà in seguito i dubbi esistenziali di allora: “Quando ‘Dark side of the moon’ divenne un vero successo, significò per me dover decidere se ero o no un socialista. Se ad un tratto hai quattro soldi, devi decidere se li tieni, perché qualsiasi cosa ci farai, verranno investiti”. La canzone, nella sua prima versione, era articolata dalla chitarra acustica e dalla voce di Roger Waters. Il pezzo era un giusto compromesso tra le sonorità blues di stampo americano e un tempo particolarmente occidentale. I suoni che finirono su disco risentono di quel clima, tuttavia sono molto più legati al rock che al blues. L’assolo di Gilmour ne é la prova perfetta. “Dark side of the moon” fu il primo vero e grande successo dei Pink Floyd. Il disco vendette più di trentacinque milioni di copie in tutto il mondo (il quarto più venduto di tutti i tempi) e rimase in classifica nelle prime duecento posizioni della Hit Parade per circa settecentocinquanta settimane (quasi quattordici anni).
La cosa che stupisce tuttora è che negli ultimi anni è tornato alla vetta delle classifiche: le ultime due volte sono state nel 2003, in occasione del 30° anniversario (con la versione in SACD) e, recentemente, dopo l'insperata reunion del gruppo per il Live 8 (Luglio 2005). Ogni aspetto di questo disco è curato meticolosamente e galleggia in un alone mistico. In questo contesto anche la storica copertina col prisma (non ha tutti i torti Wright a definirla “la più riconoscibile di tutti i tempi”) ha una sua importanza. Storm Thorgerson non poteva trovare uno schizzo migliore per rappresentare i contenuti del disco. Come egli stesso rammenta “Il prisma in copertina è basato su tre ingredienti. Uno di essi è il ‘light show’ della band. Il secondo si riferisce ad un testo sull’ambizione e l’avidità. Il terzo è che Rick voleva una copertina che fosse semplice, brutale e che attirasse l’attenzione”. Inutile dire che le parole furono tramutate in realtà dall’estro di Thorgerson. “Non ricordo, ero molto ubriaco all’epoca…” è l’ultima di una serie di voci che camminano e si scontrano sul ponte che collega “Money” al pezzo successivo: “Us & them”. E’ ancora una volta il vellutato Hammond di Wright ad accogliere gli otto minuti più melamconici dell’album. I Pink Floyd disponevano di questa canzone già dal 1969, quando furono chiamati da Michelangelo Antonioni per dare un apporto musicale al suo “Zabriskie Point”.
Durante le sessions nacque “Us & them” quando il tastierista, stanco e frustato per via del carattere di Antonioni, suonò al piano queste note come sottofondo ad una scena violenta. Il regista scartò anche questo pezzo dalla colonna sonora. La cosa curiosa è che la band non ne utilizzò la musica nei dischi pubblicati dal '70 al '72. L’eco apportato alla voce di Gilmour riesce ad addolcire il retrogusto aspro delle note e delle liriche. Queste ultime muovono critiche esplicite nei confronti dello sfruttamento, del potere e delle guerre. Come lo stesso Waters dice “Il testo è così diretto e lineare. Tratta la questione fondamentale di quanto la gente sia più o meno in grado di essere umana”. Nel primo ritornello è evidente quanto egli afferma: “Avanti, gridò dal fondo mentre la prima fila moriva, il Generale era seduto e i confini sulla mappa si muovevano da una parte all’altra”.

“Any color you like”, un intermezzo colorato dai sintetizzatori e dalle note rockblues di David Gilmour, ci porta ad esplorare il lato oscuro della luna. Il botto con cui inizia “Brain Damage” rende bene l’idea dell’entrata in un'altra dimensione, quella che si nasconde dietro la nostra carne. In questa dimensione c’è un altro “io” labile, lunatico, pronto ad impossessarsi di noi (“Tu chiudi la porta e getti via la chiave. C’è qualcuno nella mia testa ma non sono io”). Ogni giorno proviamo in tutti i modi a frenare gli impulsi che urtano contro le pareti della nostra psiche, quelli che aspettano un nostro momento di distrazione per portarci alla follia. Questo è dovuto anche al prendersi troppo sul serio e a ignorare le esigenze del nostro “io interno”. Oltre a quanto detto sopra, secondo l’autore, il lunatico (Letteralmente il folle) vuole difendere strenuamente la sua diversità fino all’emarginazione, quando “urla e nessuno sembra sentirlo”. Waters sembra inoltre rassicurarlo con: “E se la tua testa scoppia in oscure profezie, allora ti vedrò sul lato oscuro della luna”.

Il leader dei Pink Floyd pensò al campo d’erba quadrato del King’s College di Cambridge quando scrisse questa canzone. Molti si chiederanno: perché “il lunatico è sul prato”? La risposta è qui: “In molte società c’è la tendenza a sottomettere la gente a certe regole… e a proibirle di calpestare l’erba. L’idea di desiderare di camminare sull’erba è il segno che sei pazzo.” E’ presente anche lo spettro di Syd in questa “Brain Damage”, lo è in maniera evidente nelle righe finali: “E se il tuo gruppo comincia a suonare canzoni differenti, ci rivedremo sul lato oscuro della luna”. Ci avviciniamo così , dopo note di sintetizzatore e risate dell'“io interno”, alla conclusione dell’opera. Quattro colpi alla batteria di Nick Mason danno inizio al brano finale, quello che racchiude tutti i significati del disco. “Eclipse” è il teatro che fa da sfondo allo scontro tra due attori agli antipodi: la luna (simbolo di: avidità, freddo, follia, invidia, insofferenza) e il sole (simbolo di: luce, caldo, bontà, generosità, sanità). E in questa cornice gli ultimi versi vogliono mettere in guardia l’umanità: “Tutto quello che è adesso, tutto quello che andato, tutto quello che verrà e qualsiasi cosa sotto il sole è in armonia, ma il sole è oscurato dalla luna”. Tuttavia il disco si conclude ambiguamente dato che, nonostante il battito cardiaco provi a coprirla, si riconosce una voce vecchia e rassegnata: “Non c’è nessuna parte oscuro nella luna. di fatto è tutta scura.”

In merito a “Dark side of the Moon” Roger Waters afferma: “L’album è guidato dalle emozioni… non vi è nulla di artificiale o forzato. Penso sia questo uno dei motivi della sua longevità”.

[modifica] Formazione

Allestimento di The dark side of the moon nel concerto di Roger Waters presso l'Arena di Verona nel giugno del 2006
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Allestimento di The dark side of the moon nel concerto di Roger Waters presso l'Arena di Verona nel giugno del 2006

[modifica] Band

[modifica] Esterni

  • Clare Torry - voce in "The Great Gig in the Sky"
  • Dick Parry - sassofono in "Money" e "Us And Them"
  • Doris Troy, Leslie Duncan, Liza Strike e Barry St.John - coristi

[modifica] Tracce

  1. Speak To Me (Mason) - [01:10] - Strumentale.
  2. Breathe In The Air (Waters, Gilmour, Wright) - [02:47] - Voce di Gilmour.
  3. On The Run (Gilmour, Waters) - [03:51] - Strumentale.
  4. Time (Mason, Waters, Wright, Gilmour) - [05:54] - Voce di Gilmour e Wright.
  5. Breathe Reprise (Waters, Gilmour, Wright) - [01:11] - Voce di Gilmour.
  6. The Great Gig In The Sky (Wright) - [04:47] - Voce di Clare Torry.
  7. Money (Waters) - [06:23] - Voce di Gilmour.
  8. Us And Them (Waters, Wright) - [07:48] - Voce di Wright e Gilmour.
  9. Any Colour You Like (Gilmour, Mason, Wright) - [03:25] - Strumentale
  10. Brain Damage (Waters) - [03:50] - Voce di Waters.
  11. Eclipse (Waters) - [02:06] Voce di Waters e Gilmour.

[modifica] Curiosità

  • Originariamente l'album avrebbe dovuto intitolarsi Eclipse (a piece for assorted lunatics)
  • Per molto tempo si è discusso su una leggenda metropolitana, secondo la quale ascoltando The Dark Side of The Moon (alcuni suggeriscono al contrario) e visionando contemporaneamente il film “Il Mago di Oz”, si riscontra un’impressionante sincronia. Esistono addirittura siti internet in cui è presente la descrizione di cosa occorra fare per riprodurre tale sincronia, quali siano i punti in cui far ripartire l’ascolto dell’album e via dicendo. A parte la palese incongruenza sui tempi (l’album dura circa quarantatre minuti, il film intorno ai cento) e alle improbabili modalità di ascolto in senso contrario dell’album, è Gilmour in una recente intervista a smentire la presenza di ogni legame volontario tra i due lavori. ¹

[modifica] Collegamenti esterni

[modifica] Note

1-Alessandro Desimoni, da "Pink Floyd Channel - The Italian Pink Floyd fans club"

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